Pagina:Le mille ed una notti, 1852, V-VI.djvu/430

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le sfavillano gli occhi di nuovo fuoco, rizza il pelo, sferza l’aria colla coda, e l’eco ne ripete i ruggiti. Vien quindi a precipitarsi sull’eroe; questi oppone il suo scudo, e stringendo il pugnale, lo pianta con mano sicura e vigorosa nel cuore dell’animale. Cade la tigre, ed Habib, mettendo a profitto il benefizio che gli vien concesso, si fa della sua pelle un mantello, taglia le parti del corpo che servirgli possono di cibo, e ringrazia il cielo e Maometto della sua vittoria.

«Era tardi, e bisognava pensare ad un asilo per la notte: la caverna delle tigri glielo concede. Scannati i figli e visitatone l’interno, ne tura l’ingresso con un sasso enorme, ed esposto il fazzoletto per raccogliere la rugiada, si corica nel covile sulla pelle della tigre.

«Il crepuscolo stava per finire, ed il fazzoletto era imbevuto di rugiada; lo ritira quindi, e lo spreme nel teschio della tigre, alcuni pezzi della cui carne, seccati al sole durante il giorno, gli servono di delizioso pasto, dopo il quale si addormenta.

«Allo spuntar del giorno, Habib, pieno di forza e coraggio, ripiglia con maggior ardore la sua strada; ma frattanto non discopre ancora la meta delle proprie fatiche, e sembra che gli ostacoli ed i perigli si moltiplichino sotto i suoi passi. Ad ogni momento, varca monti scoscesi che pare non offrano uscita; dalle loro spaventose vette non si scoprono da lungi che deserti. Per quelle vie da cui l’uomo non è mai passato, si veggono soltanto animali feroci che fuggono, o che bisogna combattere, serpenti mostruosi che bisogna schiacciare colle pietre; ed il coraggio, dall’incertezza dell’evento rallentato, diminuisce le forze fisiche dell’eroe.

«Non potendo Habib far un passo senza essere arso dai raggi del sole e senza perdere sur un suolo cocente l’uso de’ piedi, prende il partito di riposare il