Pagina:Le mille ed una notti, 1852, V-VI.djvu/588

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«— Signore, noi siamo dervis stranieri in questa città, e desidereremmo passare la notte in casa vostra. Allo spuntar del giorno ci porremo di nuovo in viaggio. Vi meriterete le benedizioni del cielo, accordandoci questo favore, e forse non ne siamo indegni, non essendovi alcuno di noi che non sappia a memoria i poemi ed i versi più famosi, e che non sia amatore appassionato della musica e degli strumenti.

«— Io debbo prima consultare qualcheduno sulla domanda che mi fate,» soggiunse Alaeddin, e si recò tosto ad informarne Zobeide. Questa gli disse di lasciarli entrare.

«Avendoli Alaeddin introdotti, li fece sedere e li trattò con molta gentilezza. — Signore,» gli dissero essi, «la nostra situazione non c’impedisce di godere dei piaceri della società, e non bisogna che siamo origine d’interrompere i vostri divertimenti: passando dalla vostra casa, una musica deliziosa si faceva udire, e quando siamo entrati, cessò d’improvviso. Oseremmo noi domandarvi se la persona che la eseguiva fosse, una schiava bianca o nera, o qualche giovane e distinta dama?

«— È la mia sposa,» rispose Alaeddin; e narrò tosto le sue avventure, il modo con cui lo suocero gli aveva fatto soscrivere un’obbligazione di cinquantamila pezze d’oro, e l’imbarazzo in cui si trovava di pagarle, non avendo potuto ottenere che una dilazione di dieci giorni.

«— Non inquietatevi,» disse uno dei dervis; «io sono il capo di quaranta dervis sui quali esercito assoluto potere; li indurrò facilmente a procurarmi le cinquantamila pezze d’oro di cui avete bisogno: ve le rimetterò, e voi potrete così adempire al vostro impegno verso lo suocero.- Ma se fosse un effetto della vostra compiacenza il farci udire la voce della giovane dama, ci procurereste un dolce favore: giacchè la