Pagina:Le mille ed una notti, 1852, V-VI.djvu/63

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«Verso sera, mentre il sultano teneva l’assemblea ordinaria de’ suoi cortigiani, ed il principe Ahmed pur vi si trovava, gli volse il discorso in questi termini:

«— Figliuolo, già vi manifestai l’alta mia gratitudine pel regalo del padiglione che mi procuraste, e ch’io riguardo come l’oggetto più prezioso del mio tesoro: or bisogna che, per amor mio, facciate un’altra cosa che non mi riuscirà meno gradita. Sento che la fata vostra sposa si serve d’una cert’acqua della Fontana de’ Lioni, che guarisce da ogni sorta di febbri le più perniciose. Siccome sono intimamente convinto che carissima vi sia la mia salute, non dubito neppure che non vogliate chiedergliene un vaso e recarmelo, come un rimedio efficacissimo del quale posso ad ogni momento aver bisogno. Fatemi adunque quest’altro importante servigio, e mettete così il colmo alla tenerezza d’un buon figliuolo verso un buon padre. —

«Il principe Ahmed, avendo creduto che il sultano contenterebbesi di aver a sua disposizione un padiglione non men singolare che utile: come quello portatogli, nè gl’imporrebbe altro incarico capace di metterlo in discordia colla sposa, rimase come interdetto alla nuova domanda, non ostante la di lei assicurazione di accordargli tutto ciò che dal suo potere dipendesse. Dopo un silenzio d’alcuni momenti: — Sire,» disse, «supplico la maestà vostra a tenere per certo non esservi nulla ch’io non sia disposto a fare od intraprendere onde contribuire a procurarle tutto ciò che sia capace di prolungare i suoi giorni; ma desidererei ciò fosse senza l’intervento della mia consorte: è per questo che non oso promettere a vostra maestà di recarle di quell’acqua. Tutto ciò che far posso, è di assicurarla che le volgerò tale domanda, ma facendomi la stessa violenza come in proposito del padiglione. —