Pagina:Le mille ed una notti, 1852, VII-VIII.djvu/100

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rabile che dimora in un eremo situato ai piedi di quel monte che vedi da lungi, ed è ad una giornata di distanza. Fa uso del pallone, e vi sarai condotto in meno di mezzora. Non celar nulla al veglio, perchè egli solo ti può indicare e somministrare il mezzo d’attraversare quest’oceano. —

«Azem, salito nel pallone, fu trasportato subito alla dimora dell’eremita. Bussò leggermente alla porta che tosto si schiuse, entrò, e fu ricevuto cortesemente dal saggio, a cui domandò il mezzo di valicar il mare. — Qual motivo t’induce, figliuolo,» chiese l’eremita, «ad intraprendere sì arduo viaggio? — Padre,» rispose Azem, «vi basti per ora di sapere, che il mio più vivo desiderio è di varcar questo mare, e penetrare nelle isole ch’esso racchiude; io sono venuto da un paese assai lontano di qui.» Il saggio, a tali parole, si fermò dinanzi ad Azem, aprì un grosso libro, e ne lesse alcuni passi. Ad ogni momento, gettava sul giovine uno sguardo di maraviglia. — Gran Dio!» sclamò infine; «quante pene, quante crudeli prove sono riserbate a questo infelice! — Perchè mi guardate così, padre?» chiese l’altro. — Figliuolo, ti darò il mezzo di giungere a quelle isole, poichè tale è il tuo desiderio; ma non ti dissimulo che non otterrai l’oggetto delle tue ricerche, se non dopo molte traversie e tormenti. Ora raccontami esattamente la tua storia.

«Allorchè l’ebbe intesa: — Dio permetterà,» soggiunse, «che tu riesca in codesta impresa, sebbene assai perigliosa. Domani, figlio mio, ci dirigeremo verso quei monti, e tu traverserai il portentoso oceano. —

«All’alba, l’eremita ed Azem si misero in cammino, e dopo una salita erta e faticosa, giunti davanti ad un edificio che pareva una fortezza, entrarono in una corte, in mezzo alla quale eravi una sta-