Pagina:Le mille ed una notti, 1852, VII-VIII.djvu/143

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NOTTE DLXXVI

— Finalmente, il giovane ed il tristo corteggio trovaronsi sulla piazza della moschea maggiore; l’eremita, scosso dallo strepito e posta la testa alla finestrella, riconobbe l’allievo. Mosso a compassione, evocò i geni (poichè la cognizione della magia e delle scienze occulte li metteva tutti sotto i suoi ordini), ed ingiunse loro di levare il giovane dalla schiena del camello senza che alcuno se ne avvedesse, e sostituirgli un vecchio: ciò fu eseguito in un lampo. Gli astanti, vedendo quel giovane trasformato in un vecchio conosciutissimo nella città, colpiti da terrore, sclamarono: — O cielo! il giovane non è altro che il buon capo degli erborai.» Infatti, da molti anni quell’uomo vendeva semplici e canne di zucchero alla porta del collegio, vicino alla grande moschea, ed era il decano delle persone di sua professione.

«Quella subitanea metamorfosi colpì di stupore il carnefice, il quale più non ardì proseguire il supplizio; ma tornando al palazzo del sultano, seguito dalla folla, e col vecchio sul camello: - Sire,» gli disse, «il giovane che mi consegnaste è scomparso, ed in sua vece trovai, assiso sul camello, questo venerabile mercante, conosciuto da tutta la città.» Il sultano, spaventato, disse tra sè: — Chi ha operato tale prodigio, è capace di cose ancor più maravigliose, e potrebbe rapirmi il regno e farmi anche morire. -