Pagina:Le mille ed una notti, 1852, VII-VIII.djvu/145

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strattagemma dal quale poco mancò non mi puniste.» Il sultano allora, alzandosi, gli offrì il posto d’onore, ed impegnò con lui un vivo ed animato colloquio. Gli sottopose vari quesiti scientifici, a’ quali il giovane rispose con tanta sensatezza, che il principe gliene dimostrò la propria ammirazione, o non seppe a meno di riconoscere fra sè ch’era degno realmente della sua figlia. — Amico,» gli disse, e mia intenzione darti in consorte la principessa: tu l’hai già veduta, e dopo l’occorso, niuno, fuor di te, può sposarla. — Son pronto ad obbedirvi,» rispose il giovanetto; «ma permettetemi di consultare il mio amico. — V’acconsento; va, e spicciati. —

«L’allievo tornò dal suo maestro, e narratagli ogni cosa, gli dichiarò di voler isposare la principessa. — Nè io mi ci opporrò, figlio mio,» rispose il veglio; «il cielo benedica la vostra unione. Recati dunque da parte mia al sultano, e pregalo di venirci a trovare. — Ma, maestro,» riprese il giovane stupefatto, «dacchè sono al vostro servizio, non v’ho mai conosciuta altra dimora fuor di questa celletta; come posso invitare il principe a discendere in sì umile albergo? - Figlio,» ripetè il vecchio, «riponi la tua fiducia in Dio, al quale son possibili tutti i miracoli. Torna dal re, e digli che fra cinque giorni lo aspetto.» Il giovane obbedì, tornando poi presso all’eremita per adempirvi, come prima, a’ suoi doveri, ma attendendo con impazienza lo spuntare della quinta aurora.

«Giunto quel lieto istante, il savio disse all’allievo: — Andiamo a casa nostra, affine di preparare ogni cosa pel ricevimento del sultano.» Uscirono, e giunti nel bel mezzo della città, fermaronsi davanti ad un antico edifizio, le cui mura cadevano in rovine. — Figlio,» disse il vecchio, «ecco la mia abitazione; sollecitati ad andare dal sultano. Mae-