Pagina:Le mille ed una notti, 1852, VII-VIII.djvu/146

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stro,» sclamò l’allievo pieno di stupore, «questa dimora non è che un mucchio di rottami; come oserei io pregare il principe a recarsi in questo luogo? Ciò sarebbe un disonorarci. — Obbedisci,» ripetè l’eremita, «e scaccia ogni tema.» L’allievo partì, ma non senza pensare tra sè: — Il mio caro maestro ha perduto il senno, oppure vuol burlarsi di noi, —

«Giunto al palazzo, trovò il sultano che lo attendeva, ed il quale acconsentì facilmente a seguirlo accompagnato da tutta la corte, sino all’abitazione prescelta dal vecchio. Ma qual non fu la maraviglia od il giubilo dell’allievo, allorchè, invece del cadente edificio, vide un magnifico palazzo, alle cui porte stavano schierati numerosi schiavi sfarzosamente vestiti. Alla vista di quella inaspettata metamorfosi, il giovinetto rimase talmente sbalordito, che smarrì l’uso della parola. -- Poco fa,» disse fra sè, «eravi in questo medesimo luogo un cumulo di rovvine, ed ora vi ammiro un palazzo più magnifico di quanti appartengono al sultano. Non ci comprendo nulla; ma, dirò col mio maestro: Dio solo è potente! —

«Il principe e la sua comitiva scesero da cavallo, ed entrati nel palagio, traversarono un primo cortile, la cui ampiezza li sorprese: passati poi in un secondo egualmente vasto, e che metteva in una gran sala, colà trovarono il venerando vecchio, seduto e pronto a riceverli. Il sultano fece un profondo inchino, cui il saggio, senza scomporsi corrispose con un cenno di benevolenza. Il principe quindi sedette, e la conversazione s’impegnò fra loro. Mentre il sultano ammirava in silenzio i modi pieni di nobiltà dell’ospite e lo splendore di quanto lo circondava, il vecchio comandò all’allievo di bussare ad una porta, ordinando che si recasse la colazione. La porta tosto si aprì, e cento schiavi comparvero, recando, sul capo lastre d’oro, sulle quali stavano disposti piatti d’aga-