Pagina:Le mille ed una notti, 1852, VII-VIII.djvu/169

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e finì col perderne il riposo e la salute. La sua nutrice, inquieta, dopo aver indarno cercato di scoprire la causa del suo stato, pensò che l’amore solo fosse il male che la tormentava, e la sollecitò a palesarglielo.

— Mia buona madre,» le disse la principessa, «indovinasti il mio segreto. Voglio sperare che non solo ti sarà sacro, ma ben anche m’aiuterai a ricuperare il primiero ben essere. Colui ch’io amo è quel giovane che lavora nella bottega rimpetto alle mie finestre. Se non posso vederlo ed avvicinarmegli, morrò di dolore. — Cara la mia padrona, quel giovane è infatti di bellezza notabile; piace a tutte le donne della città, ma è sì timido, che non osa rispondere ad alcun invito che gli si faccia. Il più semplice detto l’imbarazza come un fanciullo. Nondimeno tenterò di vincere quella sua riservatezza, e procurarvi un colloquio con lui.» Recossi subito dal mercatante, vi comprò varie cose, e lo pregò dì permettere al suo garzone di accompagnarla a casa. Il padrone, allettato della maniera generosa colla quale trattava la donna, accondiscese volentieri alla di lei domanda.

«La vecchia allora condusse il falso giovanotto, per vie remote, ad un ingresso segreto del palazzo, d’onde introdottolo negli appartamenti dell’augusta donzella, questa lo accolse con un’emozione d’allegrezza sì forte, che poco mancò non si tradisse. Però, sotto pretesto di esaminare le merci, volsegli varie domande, e donategli venti pezze d’oro, gli raccomandò di tornare il giorno seguente con altre mercanzie.

«Di ritorno al magazzino, la principessa consegnò le venti pezze al padrone, il quale, sorpreso al vedere sì gran somma, le domandò d’onde mai venisse. Quando il finto giovane gli ebbe narrata la sua avventura, il negoziante, più agitato di prima, si mise a pensare: — Se questo intrigo continua, il sultano lo scoprirà; io sarò messo a morte,