Pagina:Le mille ed una notti, 1852, VII-VIII.djvu/250

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delle sue vele. Vi entrò, e favorito da vento propizio, in breve perdette di vista la terra. Dopo qualche giorno di navigazione, scoprì un’isola, nella quale sbarcò, avendo attaccata prima la scialuppa al tronco d’un grosso albero. Inoltratosi poi in una campagna svariata di verdi prati, limpidi ruscelli, a foltissimi boschetti d’alberi che cedevano sotto il peso de’ frutti, ed i cui rami erano coperti d’uccelli d’ogni specie e di canto diverso, colse alcune frutta per reficiarsi, e proseguì la sua strada sino ad un superbo edifizio, di cui con maraviglia trovò chiuse tutte le porte. Ivi attese indarno per tre giorni d’incontrare qualche abitante del castello. Infine, la mattina del quarto ne uscì un uomo, il quale, vedendo il nostro viaggiatore, gli chiese chi fosse, d’onde venisse e perchè attendesse. — Vengo d’Ispahan,» rispose il giovane. «In un viaggio intrapreso pel mio commercio, il vascello che mi portava naufragò su questa costa, dove, solo fra tutti i miei compagni, ebbi la ventura di salvarmi.» A tali parole, l’uomo proruppe in calde lagrime e l’abbracciò sclamando: — Dio ti protegga da altre calamità! Anch’io sono d’Ispahan. Colà dimora mia cugina, ch’io amava teneramente, e che corrispondeva all’amor mio. In quel felice e troppo fugace periodo della mia vita, una nazione rivale e potente ci dichiarò guerra; fummo vinti, e strappato con altri cattivi dal mio paese, venni venduto come schiavo al padrone, cui ora servo. Vieni, mio caro compatriotta, entra in questo palazzo ad accetta la metà del mio stanzino. Procureremo di raddolcire reciprocamente le nostre disgrazie, sinchè piaccia al cielo di farci rivedere la patria. —

«Ins-al-Vugiud accettò con premura il gentile invito. Entrando nel cortile, vide un alto albero, i cui rami stendevansi da lungi, sostenendo parecchie gab-