Pagina:Le mille ed una notti, 1852, VII-VIII.djvu/318

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istante d’ozio per passeggiare la città» Mi vestii adunque il meglio possibile, e mi misi a percorrere le vie. Ne passai circa settanta, tutte lunghissime, sinchè in fine mi venne una sete ardente, Mi trovava precisamente in faccia all’ingresso d’una gran casa, nascosto da una portiera di seta rossa. A ciascun lato vedevasi una panca di marmo, ed una vite ombreggiava la porta. Udii quindi una voce lamentevole cantare sur un’aria melanconica codeste parole:

««Il mio corpo è divenuto l’asilo del dolore dacchè mi abbandonò la mia gazella. O zeffiro! refrigera il mio seno ardente! o Dio! deh! mandami qualche riposo.

««Io non era colpevole, nè infedele; il mio cuore non palpitava per un altro: un sol sorriso, una sola parola innocente m’ha rapito l’amor suo.

««Il sonno fugge le mie palpebre; gli occhi miei sono innondati di lagrime.

««Più non v’hanno per me che patimenti. O occhi miei, che vi attiraste lo sfavore del mio diletto, una parola a me ignota ve l’ha attirato.»»

«Tai detti eccitarono la mia curiosità, e volti vedere se uscivano da bel labbro. Mi accostai alla porta, sollevai alquanto la cortina, e vidi una donna di straordinaria bellezza. Il volto erano brillante come la luna, gli occhi dolci e languidi come quelli della gazella, le ciglia nere qual ebano, il seno somigliava a due melagrani 1, aveva il collo d’una colomba,

  1. Questo paragone ne ricorda un altro che trovasi nel poema di Gioseffo e Zuleika, di Giami, che si considera come la più bella opera dell’Oriente.
    «I due globi del suo seno, simili a due cupole di luce, e i due globoli della fonte celeste di Kafur, sono come due pomi brillanti di freschezza, e che adornano un ramo, dove mai non giunse mano temeraria.