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saprebbe indovinarne l’origine, se non si conoscessero questa ed altre bolle, che mostrano la genesi e le successive modificazioni di tale scritta.

Come abbiamo visto, la nuova moneta istituita da Enrico Dandolo ebbe i nomi di Ducato e di Matapan, ma il suo nome proprio usato in tutti i tempi ed in tutti i luoghi e che riscontrasi esclusivamente nei documenti, fu quello di Grosso: onde mi par bene conservarlo a preferenza di tutti gli altri, avendo esso attraversato, senza alterazioni, tanti secoli nella bocca del nostro popolo.

Il valore originario del grosso fu di ventisei piccoli o denari, come affermano i cronisti Andrea Dandolo e Marin Sanudo e come ci vien confermato dall’esame del peso e dell’intrinseco della moneta. Possiamo esattamente rilevare il peso del grosso da un documento autentico ed ufficiale, quale è il Capitolare dei Massari della moneta, compilato nel 12781, dove sono raccolte le deliberazioni dei Magistrati che si riferiscono alla zecca. Alla fine del primo capitolo troviamo indicato il numero dei pezzi, che si dovevano tagliare da ogni marco d’argento, colle seguenti parole: «item faciam fieri istam monetam taliter quod erit a soldis novem et uno denario et tercia, usque ad medium denarium pro marca» e cioè se ne devono trarre soldi (di grossi) nove e denari 1 e 1/2 sino a denari 1 e 1/2 ossia denari (grossi) 109 1/3 sino a 109 1/2, il che dà per ogni grosso un peso, che oscilla fra g. v. 42 14/100 e 42 8/100 e può ridursi alla media di g. v. 42 1/10, peso assai vicino a quello rilevato da Lambros2 dall’autorevole volume del Pegolotti: La pratica della Mercatura.

Lo stesso prezioso documento ci dà anche il fino del grosso e dell’argento veneziano colle seguenti parole del Capitolo 73: «Preterea tenor et debeo ligare et bullare vel facere bullare totum argentum quod mihi per mercatores presentabitur ad ligam de steriino, etc.». Da ciò rileviamo che la lega del grosso

  1. Documento N. IV.
  2. Lambros, Le Monete inedite dei Gran Maestri dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme in Rodi. Traduzione dal greco di C. Kunz, Venezia, 1865, pag. 20.