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parte che desiderava conservato il potere nelle mani dei severi e fermi aristocratici, ed ebbe per risultato la oligarchia che resse i destini di Venezia per ben cinque secoli senza interruzione.

Questa legge fu causa di discordie e di gravi torbidi nello stato; la congiura di Marin Bocconio (1300), quella di Bajamonte Tiepolo e Marco Querini (1310) dovettero essere vinte colle armi e colla severità; per cui il ducato di Pietro Gradenigo finì assai tristemente, sia per lotte intestine, sia per la guerra sfortunata di Ferrara e per la conseguente scomunica inflitta dal Pontefice, che recò non pochi danni a Venezia.

Nei registri del Maggior Consiglio e nei Capitolari dei massari si trovano non poche leggi e decreti relativi alla zecca, tutti però di indole amministrativa e di lieve importanza, non essendosi fatta alcuna novità nelle monete e nei valori. Nel suo importante lavoro sulle monete dei possedimenti veneziani Vincenzo Lazari1 riporta una legge in data 7 marzo 1305 del Maggior Consiglio2 che prescrive si debbano battere a Corone e Modone quelle specie di monete, che al doge e alla Signoria, unitamente ai provveditori, sembrassero più convenienti, essendo diminuiti i proventi di quei forti castelli, in causa delle monete fabbricate dai principi di Acaja e da altri di Romania, e danneggiati pure i commercianti. Non abbiamo alcun dato per sapere se quest’ordine abbia avuto esecuzione, e quali monete sieno uscite da tali officine. Non è però da ammettersi la supposizione espressa in forma assai riservata dal dottor Cumano3, che ivi siano stati fabbricati quei nummi scodellati, che si rinvengono facilmente in Grecia e particolarmente in Morea, foggiati a modo di grossi e coi nomi dei dogi, anche antecedenti alla data di questo decreto. A me sembra che questi grossi, tanto doppi che semplici, nonché quelli

  1. Lazari V. Le monete dei possedimenti veneziani di oltremare e terraferma, Venezia 1852, pag. 98.
  2. R. Archivio di Stato. Maggior Consiglio, Reg. Magnus Capricornus, c. 17 t.
  3. Cumano D.r C. Opera citata pag. 29-31.