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monete anonime 295

un lato l’immagine di S. Marco e dall’altro uno scudo alto in quo sit nihil.

È curioso il modo con cui questo decreto esprime quel concetto, che oggi è quasi un assioma della pubblica economia, e cioè che la cattiva moneta caccia da un paese la buona, con queste pratiche parole: «Et hoc modo moneta nostra, videlizet, grossi nostri, qui valent quatuor soldos, et soldus noster exeunt de bursis nostris et dantur venientibus Jadram et ad partes illas, qui ipsam monetam nostram imbursant et dimittunt monetas suas, quae sunt multo minoris valoris, cum tanto damno nostro.»

Nel 27 aprile 14141 un altro decreto del Senato fa conoscere che la esecuzione del precedente era stata sospesa, ed assunte informazioni da chi veniva da Zara, ordina nuovamente la coniazione della moneta per la Dalmazia col fino di tre oncie e un quarto per marca, tagliandone da ogni oncia 44 pezzi, descrivendola nello stesso modo, col S. Marco da un lato e lo scudo vuoto dall’altro.

Il tenore di questi due documenti mostra esattamente il valore della moneta emessa per i bisogni della circolazione in Dalmazia, giacché, secondo il decreto 31 maggio 1410, essa avrebbe dovuto pesare grani veneti 13,714; secondo quello del 27 aprile 1414, avrebbe dovuto pesarne 13,09, ma siccome in quest’ultimo si migliorava la lega, poca era la differenza dell’intrinseco, che sarebbe stato di g. v. 5,142 nel primo caso, e g. v. 5,317 nel secondo, per ogni pezzo, e quindi due terzi circa del fino contenuto nel soldo veneziano, che in quel tempo pesava g. v. 8,47 e conteneva g. v. 8,063 d’argento puro.

Da ciò si scorge il pensiero del Senato, che intendeva creare una moneta, la quale sostituisse i soldi ungheresi che valevano otto piccoli ed i denari frisacensi ossia di Aquileja che avevano molto favore in quei paesi e si spendevano per un uguale valore. A me sembra di riconoscere in questo pezzo il soldo di una lira speciale, probabilmente adoperata nel Regno di Servia

  1. Documento XXXV