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| e prime monete di venezia | 33 |
Osserva Padovan[1], che la frase del trattato non dà realmente facoltà ai Veneziani di coniar moneta, ma accorda loro soltanto di adoprare la moneta di cui sono usi valersi da tempo antico: .... simulque eis nummorum monetam concedimus, se cundum quod eorum provintie duces apriscis temporibus consueto more habuerunt; ma io non saprei vedere una moneta ideale che potesse crearsi senza che nei tempi precedenti o contemporaneamente essa fosse stata realmente in circolazione. Per solito la moneta ideale è la tradizione di una moneta che ha veramente esistito ed avuto corso nel paese, ma che poi è scomparsa per le vicissitudini politiche, od ha cambiato valore per le circostanze economiche.
Anche Dandolo interpreta il passo del trattato di Rodolfo, che egli perfettamente conosceva, in questo modo e nella sua cronaca dice:[2] Hic Bodulfus sui regni anno IV. . . declaravit ducem Venetiarum potestatem habere fabricandi monetam, quia ei constitit antiquos duces hoc continuatis temporibus perfecisse. Per me la cosa non è dubbia; i Veneziani, visto il momento favorevole, vantarono antichi diritti di batter moneta, e forse in prova mostrarono i denari col XPE SALVA VENECIAS, stampati cinquant’anni prima. La dimostrazione fatta da noi ora, che essi non avevano questo diritto e che lo stampo di tali denari era arbitrario, non vale in casi di questo genere, perchè quando il sovrano è deciso o costretto a concedere, ogni ragione è buona e viene riconosciuto per antico quel diritto che si è disposti a concedere nel momento.
Anche la tradizione attribuisce a quest’epoca la concessione del diritto di zecca a Venezia. Sanuto[3] e Sansovino[4] raccontano, che sotto il ritratto di Pietro Partecipazio si trova l’iscrizione:
Multa Berengarius mihi privilegia fecit,
Is quoque monetam cudere posse dedit.