Pagina:Le murate di Firenze, ossia, la casa della depravazione e della morte.djvu/23

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quasi esca appostatamente preparata, erano spietatamente abbandonati al furor di quel fuoco divoratore.

Mentre io esterrito guardava quel luogo di fuoco, il fabbricato che mi rimaneva di ricontro crolla, avvalla, si schianta e con orribile fracasso rovina e sprofonda dalle immense vampe dell'incendio ingoiato. La fiamma allora, disserrata e libera da ogni intoppo, s'innalza ardentissima cupamente mugghiando, e spinta da impetuosi buffi di vento, s'appicca di subito, investe con veemenza, e tutta ravvolge ne' suoi vortici la nostra sezione.

Volli gridare, ma il grido mi morì strozzato in gola, e non diè voce alcuna: disperato corro all'uscio, l'urto, lo spingo con quanta forza mi sento in petto; inutile sfogo! esso resiste saldo, incrollabile agli urtoni, ai calci, ai pugni, con che io il tempestava furibondo e disperato.

Già le fiamme colle lor serpeggianti vette mostravansi all'inferriata: il fuoco si dilatava così repentino, sì facilmente e con tanta veemenza incendiava i muri, che pareva fossero di resina costrutti ovver di pece. L'impiantito scottava, le pareti della cella erano infuocate, il fumo, il vampore mi soffocava, e oppresso il petto sentivami venir meno.

Non v'era più scampo; il tonante muggito delle fiamme superava e spegneva nel suo spaventoso rugghìo ogn'altro strido. Alta raccapriccio, orror m'investa e spaventa, raggricciar mi sento nelle vene il sangue, e vedendo di non poter fuggir la morte che sì da presso mi stringeva, caddi ginocchioni, levai le mani giunte e gli occhi al cielo, supplicando Dio ad aver di me misericordia, e ai falli miei dar perdonanza. L’ora era giunta, sotto le ginocchia mi traballava il pavimento, si sfasciano, si schiantano, crepitando i