Pagina:Le murate di Firenze, ossia, la casa della depravazione e della morte.djvu/34

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fuga di stanze, ciascuna delle quali aveva l’uscio spalancato.

Il genio mi precedeva, e giunto di faccia al primo uscio, stette, crollò il capo borbottando queste parole: sempre a un modo questo porco!

Mosso da curiosità grandissima affrettai il passo per vedere di chi parlasse, e pervenuto all’uscio guardai nelle stanze e viddi sdraiato sopra un lettuccio un uomo, che abbandonato e rilassato di tutte le membra stava immobile come una massa d’inerte materia. Di tratto in tratto moveva il petto a un lento e rantoloso respiro; la testa gli cascava abbandonata sull’omero destro, e il braccio penzolava a terra. Calva aveva la parte anteriore del capo, lunga, brinata la barba e intrisa tutta di un ributto rossastro, di che era anche impiastricciato all'intorno il pavimento. Dirugginando i denti torceva e strabuzzava gli occhi, e talvolta arrovesciandoli li mostrava come velati a morte.

Una giovine donna d'avvenente aspetto, a lui da presso seduta, con amorosa sollecitudine gli sorreggeva il capo e desolatamente piangeva. A quella vista mi feci all’orecchio del buon genio, pianamente richiedendolo chi fosse quel porcone.

— Perchè tu parli così basso? mi rispose ad alta e spiccata voce il vecchio: non ti dissi che sotto questo mantello niuno ti avrebbe veduto o sentito?

Credei che bociando egli di tal guisa, se non l'uomo, la donna almeno a noi si rivolgesse, ma niuno si riscosse, perchè io fui persuaso che anche il vecchio godesse del privilegio che a me procurava il mantello.

Tutto ardito allora: avete ragione, dissi io pure ad alta voce, aveva dimenticata la virtù del mio mantello; or ditemi dunque chi è costui?