Pagina:Le murate di Firenze, ossia, la casa della depravazione e della morte.djvu/46

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ramente pio, trasmodava in atti di pietà, e si rendeva ridicolo praticandoli in luoghi e con modi non sempre convenienti.

Alla malvagità di questo iniquo serpente quel poco bastò, perché aggroppando a quei pochi fatti, per sè stessi innocenti, circostanze false e calunnie infami, col pretesto di voler provvedere alla sicurezza, all'onor del fratello, e all'interesse della nipote, tanto importunò le autorità civili, che gli riuscì di ottenere un decreto, per il quale il di lui fratello era dichiarato civilmente interdetto e sottoposto a un curatore. Immaginerai che il curatore doveva essere e fu questo maledetto ladro.

L’infelice geloso, trangosciato allora nell’anima e nel cuore, conturbato e confuso nella mente, trascurato, disprezzato da tutti, impedito perfino nell'amministrazione dei propri beni, strepitò, infuriò, altamente rimproverando fratelli e magistrati, il ladro non mancava mai di aggravare, aggrandire ogni piccolo sgarro del vacillante fratello, e inventando e calunniando sempre potè finalmente ottener l’ordine che l’infelice fosse rinchiuso in un manicomio siccome pazzo. Egli stesso lo fece legare, e lo tenne prigioniero nel suo palazzo, finchè non ebbe occasione propizia per farlo trasportare nello spedale dei pazzi nella capitale del regno.

— Ah birbante iniquo!

— Allora tutto contento ne andò in gloria; il fratello che non aveva voluto fare a modo suo, lenguiva carcerato fra i matti: la cognata che non volle temere il suo sdegno era ora alla di lui balìa e poteva vendicarsi, come si vendicò, barbaramente stranandola, e e così miseramente tenendola a stecchetto, che tal fiata ebbe a patir la fame. Intanto egli amministrava i po-