Pagina:Le murate di Firenze, ossia, la casa della depravazione e della morte.djvu/84

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per entro, da muovere a nausea; perchè io rivolto al Genio, così lo dimandai:

— Che razza di maialaccio sgarbato è egli mai codesto giovane? — Ed egli a me: — Se non temessi nausearti fino a farti recere, vorrei dirti cosa sia capace di abboccare, biasciare, inghiottire questo guitto tangheraccio, ma di ciò vuol convenienza che io mi taccia.

Bene sta! Ditemi almeno cosa siano quei bernoccoli e quelle bozze, che coronano quella sua fronte a berlingozzi.

— Oh benedetto Dio! Disse sorridendo il genio, ma non vedi quella bocca aperta e quel muso da capocchio?

— Or bene li vedo! Ma che ha che far la luna coi granchi?

— È ammogliato.

— Perciò?

— Perciò tu mi fai il tonto per farmi versare: tu vuoi che io canti, e canterò. Quei bernoccoli onde gli vedi la fronte redimita, sono ornamenti che gli preparò e ricamò la di lui gentilissima consorte per vedere di ringentilirlo, illegiadrirlo alcun poco. Ma per quanto la poverina (agitata sempre dal grandissimo amore che porta a questo suo torsolo} s’incocciasse e incaponisse in tal proposito, e senza posare nè dì né notte, sudasse, trafelasse lavorando sempre accanita dì ripieno e di traforo, a cavo, a dentelli e a merli, e coll’ago e colle forbici, or seduta, or ritta ed or sdraiata, cavallante o cavallata, riuscisse a mettergli in pronto parecchie migliaia di questi ricami tutti di svariato disegno, fu però tempo gittato, se non per lei, certamente per lui; poiché a scuotere quella massa di materia, ben altro ci vuole che i ricami della signorina.


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