Pagina:Le opere di Galileo Galilei II.djvu/553

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540 difesa contro alle calunnie ed imposture

sime, me impudente usurpatore e perciò indegno di comparire nel cospetto de gli uomini ingenui e letterati; e che per tanto, sendo questa sua azione erronea, temeraria e diffamatoria dell’onor mio, del luogo che tengo nello Studio di Padova, e pregiudiciale ancora alla vigilanza con la quale devono provedere loro Signorie Illustrissime ed Eccellentissime alle cose dello Studio, mantenendolo fornito di uomini sufficienti a i lor carichi, dovessero loro Signorie Illustrissime ed Eccellentissime, conosciuta la verità del fatto, prò vedere, secondo la lor somma prudenza, alla redintegrazione dell’onor mio, col dare il meritato castigo al delinquente; protestandomi di più larghissimamente, che qualunque volta potesse mai constare che io, non solo tutta l’invenzione del mio Strumento, ma qualunque minima parte di quella avessi usurpata, non pur dal Capra, ma da qual si voglia altro autore o uomo del mondo, già de fatto mi dichiaravo e sentenziavo degno delle note attribuitemi dal Capra e di maggiori ancora; ma all’incontro supplicavo lor Signorie Illustrissime ed Eccellentissime che, dopo che io li avessi fatto constare come il Capra era usurpatore dell’opera mia, volessero usare quel medesimo rigor di giustizia verso il mio avversario al quale io spontaneamente mi sottoponevo; a quanto fu da me con simili parole proposto rispose il Capra, dicendo primieramente increscerli di dover tediare a mia richiesta le loro Signorie Illustrissime ed Eccellentissime, e che il mio comparir là non era necessario, e che se io mi sentivo da i suoi scritti aggravato, la penna e la carta erano le armi de i letterati; ma già che mi era parso tener questa strada, lui era comparso a render buon conto di sè; e che per tanto lui primieramente negava di essersi fatto autore di quell’opera, mostrando, per attestazion di questo, un luogo nella prefazione Ad Lectorem, nel quale da queste parole: Nec obijciat quispiam me haec non excogitasse, nam istos libenter audire velim, quod responsuri sint ad quaestionem qua senex quidam doctus alterum interrogavit: Quot putas (inquit) haberemus hodie in mundo doctos viros, si non uteremur aliorum inventis? diceva manifestamente comprendersi, come ei non si faceva autore di quest’opera: ed un altro luogo produsse in confermazion di questo medesimo, nella dedicatoria, in quelle parole: Cum itaque hic, licet imperfectus sit praestantissimi viri culturae fructus, iure ille tibi Illustrissimo Principi debetur. Rispose in oltre, che egli non faceva me usurpatore di quest’opera, e che le parole d’ingiuria, che io dicevo esser nel suo libro, non riguardavano la persona mia, non vi essendo mai in tutta