Pagina:Le opere di Galileo Galilei IV.djvu/175

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di accademico incognito. 171


[pag. 101, ìin. 35-36]: ma sì bene all’esser divisa velocemente) Ogni divisione fatta da altro corpo strano è contra l’inclinazione naturale dell’acqua, di star unita e conservarsi. Nè credo esser dubbio, che il corpo più crasso resista più alla divisione che il corpo raro[61], e che il corpo più largo sia a dividere meno atto che lo stretto o tondo, considerati per sè medesimi come tali[62]. E facendosi un navilio triangolare, difficilmente si muoverebbe per la larghezza d’uno de’suoi lati dinanzi[63], per la resistenza anteriore, ancorché cessasse la cagione della larghezza dello spazio posteriore.

f. 42 [pag. 108, lin. 16]: Già, signori avversari) Per buona loica, secondo la verità io delle premesse, è forza che scoppi la conclusione.

[pag. 108, lin. 82-85]: rimovete per tanto l’aria, e ponete nell’acqua l’ebano solo, e così vi porrete un solido più grave dell’acqua; e se questo non anderà in fondo, voi bene averete filosofato, ed io male) Questo ritornare spesso a’ medesimi colpi è un addestrare gli avversari non solo alla difesa, ma nello stesso tempo all’offesa ancora. Anche di sopra [pag. 99, lin. 4-5] l’Autore, proverbiando gli avversarii, diceva: rimovete quell’aria, la quale, congiunta con la tavoletta, la fa diventare un altro corpo men grave dell’acqua, etc. Ma perchè l’Autore talvolta comparisce in abito di matematico e tal volta di filosofo, chi si trova solo deve andar molto cauto a venire alle mani con uno o con due campioni tanto varii e valorosi. Ma ora che qui viene apertamente da solo filosofo; e si dichiara che la querela sia, chi nel proposto caso abbia meglio filosofato; non si rifiuta per diporto piacevole di venire una volta a duello con lui, senza pregiudizio però degli altri più valorosi guerrieri, militanti sotto lo stendardo peripatetico, che volessono cimentarsi nel medesimo assalto dinanzi a giustissimi e serenissimi giudici. Eccomi dunque in campo: e per fare sicura difesa e rimanere tosto vittorioso, io non saprei fornirmi d’arme più approposito, che guernir la sinistra mano d’una mentita loicale, e tener nella destra, con un certo artiglio fabricato nella fucina dell’Aquila, una piastra grossa di piombo, meno ampia di quella tavoletta che ci porremo in mezzo galleggiante nell’acqua. Or vegniamo ormai alla prova.
Ecco il colpo mortale vibrato più volte dall’Autore: Quella cosa, la quale posta, la tavoletta d’ebano sta a galla, e rimossa va al fondo, è la cagione che la tavoletta galleggia; ma posta l’aria congiunta alla tavoletta d’ebano, quella sta a galla, e rimossa l’aria, va a fondo; adunque l’aria è cagione che la tavoletta galleggia. Io lascio passare la maggiore prima proposizione, poiché non può ferirmi:


[61] è vero de i corpi che resistono alla divisione, ma non di quei che non hanno resistenza alcuna.

[62] tanto resta la tavola stretta, quanto la larga.

[63] Anzi, per il suo detto di sopra, meglio; perchè l’acqua, strignendo il conio, lo farebbe schizzare innanzi.