Pagina:Le opere di Galileo Galilei IV.djvu/215

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di giorgio cortesio. 211

il tempo numero de’ moti, non possa mai essere moto senza tempo; e però Platone lo diffinì «immagine mobile dell’eternità ed intervallo del moto del mondo», e fece il medesimo Aristotile chiamandolo «numero»: onde il moto si dice temporale, non perchè si faccia in tempo, a guisa d’azione, ma perchè è misurato da esso, facendosi l’azione nello istante, come la intellezione, la illuminazione e simili altre cose. Il moto, adunque, non è azione. Ma in che modo è misura il tempo? La misura è, secondo Simplicio, o numero o grandezza o luogo o tempo: il numero misura la distinzione; la grandezza misuralo intervallo; il luogo, la posizione; il tempo, l’estensione della generazione, diterminandola secondo il prima e ’l poi. Ora, presupposto questo fondamento, si tolgono via due cose: il vacuo e ’l cedere. Il vacuo: perchè se non fosse la continuità del mezzo, che per la successione delle parti ritarda il moto, non potendo essere in un medesimo tempo in tutte le superiori e inferiori, non sarebbe mai moto; è adunque necessario il mezzo. Si toglie ancora il cedere senza resistenza, più velocemente muovendosi il più grave del meno: all’incontro, nuotando per l’aria alcune cose di minima gravità e altresì per l’acqua, si farà variazione per la figura e secondo il mezzo; perchè si muoverà una cosa più velocemente nell'aria che nell’acqua, e un sasso si muove ancora più velocemente nel fine che nel principio, e più velocemente da un luogo più alto che da un più basso; similmente una nave s’immergerà più nell’acqua dolce che nella marina, e nella stess’acqua un legno quanto sarà più grave si profonderà più: e la causa di questo non dipende da altro che dalla resistenza del mezzo, in quanto ella più o meno vince; ove se le parti avessero a dar luogo senza resistenza, non si vedrebbe la cagione perchè dessero più luogo ad uno che ad un altro e come si facesse la variazione. Onde l’opinione di coloro che stimarono che ’l mezzo e la figura non operasse proporzionatamente al ritardamento del moto del mobile, fu sempre mai stimata vana dagli uomini savi. Ma trapassiamo oramai all’altro Discorso.


Discorso Terzo,

pertinente all'esamine delle cagioni del discendere il solido.


A formare questo Discorso mi muove il dubbio che nasce contro la naturale aspettazione, stimandosi che i corpi più gravi dell’acqua non galleggino, ma discendino al proprio luogo, come l’autorità d’Aristotile e d’Archimede conferma. E la ragione di questo è perchè la natura, che diede loro il proprio luogo di sotto come perfezione, gli diede ancora la maggior densità, acciochè, se lo perdessero, lo potessero di nuovo ancora racquistare; il qual fine non conseguirebbono, se per la maggior densità non vincessero, che contiene più forze della minore, da che nasce la pugna: perciochè il corpo più grave dell’acqua vuole acquistare il proprio luogo, e l’acqua non vuol soffrire il suo nimico appresso; in un certo