Pagina:Le opere di Galileo Galilei V.djvu/338

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334 lettera

super vacuum, et appendit Terram super nihilum, nota che la Scrittura chiama vacuo e niente lo spazio che abbraccia e circonda la Terra, e che noi sappiamo non esser vòto, ma ripieno d’aria: nulla dimeno, dice egli che la Scrittura, per accomodarsi alla credenza del vulgo, che pensa che in tale spazio non sia nulla, lo chiama vacuo e niente. Ecco le parole di S. Tommaso: quod de superiori hemisphaerio caeli nihil nobis apparet, nisi spatium aëre plenum, quod vulgares homines reputant vacuum: loquitur enim secundum existimationem vulgarium hominum, pro ut est mos in Sacra Scriptura. Ora da questo luogo mi pare che assai chiaramente argumentar si possa, che la Scrittura Sacra, per il medesimo rispetto, abbia avuto molto più gran cagione di chiamare il Sole mobile e la Terra stabile. Perchè, se noi tenteremo la capacità de gli uomini vulgari, gli troveremo molto più inetti a restar persuasi della stabilità del Sole e mobilità della Terra, che dell’esser lo spazio, che ci circonda, ripieno d’aria: adunque, se gli autori sacri in questo punto, che non aveva tanta difficoltà appresso la capacità del vulgo ad esser persuaso, nulla dimeno si sono astenuti dal tentare di persuaderglielo, non dovrà parere se non molto ragionevole che in altre proposizioni molto più recondite abbino osservato il medesimo stile.

Anzi, conoscendo l’istesso Copernico qual forza abbia nella nostra fantasia un’invecchiata consuetudine ed un modo di concepir le cose già sin dall’infanzia fattoci familiare, per non accrescer confusione e difficoltà nella nostra astrazione, dopo aver prima dimostrato che i movimenti li quali a noi appariscono esser del Sole o del firmamento

[il ms.: nihili], si legge, esponendo le parole super vacuum, «ita appellari spatium aëre plenum, quod vulgares homines reputant vacuum», soggiugnendo: «loquitur enim secundum extimationem vulgarium hominum, prout est mos in Sacra Scriptura». Onde io per necessaria conseguenza deduco che se la Scrittura Sacra, per accomodarsi alla capacità del vulgo, chiama vacuo lo spazio ripieno d’aria, che pure con assai facili esperienze si potrebbe persuadere esser pieno a gente che non fusse più che stolida, con quanto maggior ragione per il medesimo rispetto dev’ella chiamar mobile il Sole e stabile la Terra, che tali appariscono non solo alle genti vulgari, ma anco a moltissimi che assai si elevano dalla vulgare capacità? Aggiungasi finalmente che la medesima Scrittura Sacra per la medesima ragione non si è anco talora astenuta di produr detti favolosi: onde appresso il medesimo Iob si legge, al cap. 21, le. 2, Ipse ad sepulcra ducetur, et in congerie mortuorum vigilabit; dulcis fuit glareis Cocyti, et post se omnem hominem trahet etc.: dove S. Tommaso, esplicando tal luogo, dice: «Veritatem de poenis malorum post mortem proponit sub fabula quae vulgariter ferebatur.»

25. Nel cod. V prima diceva Sole o del, poi o fu corretto in e. —

19. Nel cod. G manca molto, che si legge però negli altri codici e nella stampa. — 23. infanzia fatteci familiari, G —