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Pagina:Le opere di Galileo Galilei VI.djvu/371

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trasparere; onde l’aria trasparentissima è del tutto invisibile, l’acqua limpida ed i cristalli ben tersi, traposti tra oggetti visibili, poco per se stessi si scorgono: dal che ci pareva che assai a proposito si potesse all’incontro inferire, i corpi quanto più per se stessi fusser visibili, dover esser tanto meno trasparenti; e perché tra i corpi visibili per se stessi, le fiamme per avventura parevano non esser degli infimi, però giudicammo quelle dovere esser poco trasparenti: l’autorità poi di Aristotile e de’ Peripatetici, aggiunta a questo discorso, ci confermò nell’opinione. Circa la qual autorità mi par da notare come il Sarsi le vuol dare altra interpretazione da quella che apertamente suonan le parole; e dice che intesa bene è verissima, e che il senso è che i corpi, acciò che si possano illuminare, non devon esser trasparenti; e non, che i corpi lucidi non son trasparenti. Ma se il Sarsi la piglia in quel senso, perché così gli par la proposizion vera, adunque bisogna ch’ei lasci l’altro perché in quello gli paia falsa (perché quanto alle parole, meglio si adattano a questo che a quello): tuttavia egli medesimo poco di sotto non pure afferma, ma con più esperienze conferma, i corpi luminosi impedir la vista delle cose poste oltre di loro, dove scrive: "Nam hæc etiam rerum ultra ipsa positarum aspectum impediunt", e quel che segue. Ma tornando al primo discorso, dico che oltre all’autorità de’ Peripatetici ci confermò ancora più il veder finalmente per esperienza un vetro infocato impedirci assai la vista degli oggetti, che freddo distintamente ci lascia scorgere, e l’istesso far la fiammella d’una candela, e massime colla sua superior parte, più lucida dell’inferiore ch’è intorno al lucignolo, la qual è più tosto fumo non bene infiammato che vera fiamma. Di più, avendo noi osservato, la grossezza del corpo, ben che per se stesso non molto opaco, importar tanto, che, verbigrazia, una nebbia, la quale in profondità di venti o trenta braccia non ci leva la vista d’un tronco, moltiplicata all’altezza di 200 o 300 ci toglie del tutto anco la vista del Sole stesso, pensammo non esser lontano dal ragionevole il creder che la non trasparenza ed opacità d’una fiamma non potesse mai essere così poca, che ingrossata in profondità di centinaia e centinaia di braccia non ci dovesse impedir l’aspetto delle minute stelle. Concludemmo per tanto, la profondità della chioma della cometa (che pur bisogna che sia non dirò col Sarsi e suo Maestro 70 miglia, ma al manco tante canne), quand’ella fusse una fiamma,