Pagina:Le opere di Galileo Galilei VII.djvu/406

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398 dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo.

che egli di tutte queste cose abbia molto probabili ragioni, delle quali ne averei volentieri sentito qualcuna; ma il vedere che egli [L'autor del libretto si confonde e si contradice nelle sue interrogazioni.]in queste poche parole si confonde e si contraddice, mi fa credere ch’e’ sia molto penurioso e scarso di queste probabili ragioni, e che quelle che ei chiama ragioni, sieno più tosto fallacie, anzi ombre di vane immaginazioni. [Interrogazioni fatte all'autor del libretto, con le quali si mostra l'inefficacia delle sue.]Imperocchè io domando adesso a lui, se questi corpi celesti operano veramente sopra la Terra, e se per tale effetto sono stati prodotti delle tali e tali grandezze, ed in tali e tali distanze disposti, o pure se non hanno che fare con le cose terrene. Se non han che fare con la Terra, sciocchezza grande è il voler noi terreni esser arbitri delle grandezze, e regolatori delle loro locali disposizioni, mentre siamo ignorantissimi di tutti i loro affari e interessi: ma se dirà che operano e che a questo fine siano indrizzati, viene ad affermare quello che per un altro verso egli medesimo nega ed a laudar quello che pur ora ha dannato, mentre diceva che i corpi celesti, locati in tanta lontananza che dalla Terra appariscan tantini, non possono in lei operar cosa alcuna. Ma, uomo mio, nella sfera stellata, già stabilita nella distanza che ella si trova e che da voi vien giudicata per ben proporzionata per gl’influssi in queste cose terrene, moltissime stelle appariscono piccolissime, e cento volte tante ve ne sono del tutto a noi invisibili (che è un apparire ancor minori che tantine): adunque bisogna che voi (contradicendo a voi medesimo) neghiate ora la loro operazione in Terra; o vero che (contradicendo pure a voi stesso) concediate che l’apparir tantine non detrae della loro operazione; o sì veramente (e questa sarà più sincera e modesta concessione) concediate e liberamente confessiate che ’l giudicar nostro circa le loro grandezze e distanze sia una vanità, per non dir prosunzione o temerità.

Simp. Veramente veddi ancor io subito, nel legger questo luogo, la contradizion manifesta, nel dir che le stelle, per così dire, del Copernico, apparendo tanto piccoline, non potrebbero operare in Terra, e non si accorgere d’aver conceduto l’azione sopra la Terra a quelle di Tolomeo e sue, che appariscono non pur tantine, ma sono la maggior parte invisibili.

Salv. Ma vengo ad un altro punto. [Che gli oggetti lontani appariscano piccoli, è difetto dell'occhio, com si dimostra.]Sopra che fondamento dice egli che le stelle appariscano così piccole? forse perchè tali le veggiamo noi? e non sa egli che questo viene dallo strumento che noi