Pagina:Le poesie di Catullo.djvu/51

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trad. da Mario Rapisardi 51

     Non vedea l’ora — fosse l’aurora,
     Perchè a te riedere potessi ancora,
     15E d’altre chiacchiere prender diletto.
     Poi, quando affranto — dal volger tanto,
     Sfinito il povero mio corpo giacque,
     L’idea mi nacque — di schiccherarti,
     O capo armonico, tal poesia
     20Che faccia intenderti la pena mia.
     Ma però guàrdati dal non gonfiarti
     Troppo; e ti supplico di non sputare,
     Però che Nemesi puossi adirare:
     È dea terribile, mio bello, il sai;
     25E chi d’offenderla non trema, guai!


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Pari ad un dio, maggior d’un dio, s’è dato,
     Parmi colui che a te di fronte assiso
     Ascolta, o Lesbia, i tuoi detti, beato
                    4Del tuo sorriso

Dolcissimo. Eppur io, misero, quando
     Ti miro, ogni mio senso ecco si oscura:
     Nulla m’avanza più: trepido ansando
               8. . . . . . . . . . .