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98 PRIMA

CANZONE XVIII.


P
Erchè la vita è breve,

     E l’ingegno paventa a l’alta impresa;
     Nè di lui, nè di lei molto mi fido,
     Ma spero che sia intesa
     5Là dov’io bramo, e là dov’esser deve,
     La doglia mia, la qual tacendo i’ grido;
     Occhi leggiadri, dov’Amor fa nido,
     A voi rivolgo il mio debile stile
     Pigro da sè, ma ’l gran piacer lo sprona:
     10E chi di voi ragiona
     Tien dal suggetto un’abito gentile;
     Che con l’ale amorose
     Levando, il parte d’ogni pensier vile:
     Con queste alzato vengo a dir or cose
     15Ch’ho portate nel cor gran tempo ascose.
Non perch’io non m’aveggia
     Quanto mia laude è ingiuriosa a voi:
     Ma contrastar non posso al gran desio;
     Lo quale è in me da poi
     20Ch’i’ vidi quel che pensier non pareggia;
     Non che l’agguagli altrui parlar, o mio.
     Principio del mio dolce stato rio,
     Altri che voi, so ben, che non m’intende.
     Quando a gli ardenti rai neve divegno;
     25Vostro gentile sdegno
     Forse ch’allor mia indegnitate offende.
     O, se questa temenza
     Non temprasse l’arsura che m’incende;
     Beato venir men! chè ’n lor presenza
     30M’è più caro il morir che ’l viver senza.
Dunque ch’i’ non mi sfaccia,
     Sì frale oggetto a sì possente foco;
     Non è proprio valor che me ne scampi;


Ma