Pagina:Le rime di M. Francesco Petrarca I.djvu/146

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PARTE. 63

     S'al ben veloce, ed al contrario tardo,
     Dispregiator di quanto 'l mondo brama,
     Per sollicito studio posso farme:
     70Porrebbe forse aitarme
     Nel benigno giudicio una tal fama.
     Certo il fin de' miei pianti;
     Che non altronde il cor doglioso chiama;
     Vien da' begli occhi alfin dolce tremanti,
     75Ultima speme de' cortesi amanti.
Canzon, l'una sorella è poco inanzi;
     E l'altra sento in quel medesmo albergo
     Apparechiarsi: ond'io più carta vergo.


CANZONE XX.


P
Oi che per mio destino

     A dir mi sforza quell’accesa voglia
     Che m’à sforzato a sospirar mai sempre;
     Amor, ch’a ciò m’invoglia,
     5Sia la mia scorta, e ’nsegnimi ’l cammino;
     E col desio le mie rime contempre:
     Ma non in guisa, che lo cor si stempre
     Di soverchia dolcezza; com’io temo,
     Per quel ch’i’ sento ov’occhio altrui non giugne:
     10Chè ’l dir m’infiamma, e pugne;
     Nè per mio ’ngegno (ond’io pavento, e tremo)
     Sì come talor sole,
     Trovo ’l gran foco de la mente scemo:
     Anzi mi struggo al suon delle parole
     15Pur, com’io fusse un'uom di ghiaccio al Sole.
Nel cominciar credia
     Trovar parlando al mio ardente desire
     Qualche breve riposo, e qualche tregua.
     Questa speranza ardire
     20Mi porse a ragionar quel ch’i’sentia:
     Or m’abbandona al tempo, e si dilegua.


Ma