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SONETTO CXXXVII.
Ho preso ardir con le mie fide scorte
D’assalir con parole oneste accorte
4La mia nemica in atto umile, e piano:
Fanno poi gli occhi suoi mio pensier vano;
Perch’ogni mia fortuna, ogni mia sorte,
Mio ben, mio male, e mia vita, e mia morte,
8Quei che solo il può far, l’ha posto in mano.
Ond’io non pote’ mai formar parola
Ch’altro che da me stesso fosse intesa;
11Così m’ha fatto Amor tremante, e fioco.
E veggi’ or ben, che caritate accesa
Lega la lingua altrui, gli spirti invola.
14Chi può dir com’egli arde, è ’n picciol foco.
SONETTO CXXXVIII.
Che m’ancidono a torto; e s’io mi doglio,
Doppia ’l martìr; onde pur, com’io soglio,
4Il meglio è ch’io mi mora amando, e taccia:
Che poria questa il Ren, qualor più agghiaccia,
Arder con gli occhi, e rompre ogni aspro scoglio;
E ha sì egual' a le bellezze orgoglio,
8Che di piacer altrui par che le spiaccia.
Nulla posso levar io per mio ’ngegno
Del bel diamante, ond’ell’ha il cor sì duro;
11L’altro è d’un marmo che si mova, e spiri:
Ned ella a me per tutto ’l suo disdegno,
Torrà giàmmai, nè per sembiante oscuro,
14Le mie speranze, e i miei dolci sospiri.