Pagina:Le rime di M. Francesco Petrarca I.djvu/382

Da Wikisource.

DELLA MORTE CAP II. 299

25Ma ’l tempo è breve e nostra voglia è lunga;
     Però t’avvisa, e ’l tuo dir stringi e frena,
     Anzi che ’l giorno, già vicin, n’aggiunga. -
Et io: - Al fin di questa altra serena
     Ch’ha nome vita, che per prova il sai,
     30Deh, dimmi se ’l morir è sì gran pena. -
Rispose: - Mentre al vulgo dietro vai
     Et a la opinïon sua cieca e dura,
     Esser felice non puoi tu già mai.
La morte è fin d’una pregione oscura
     35A l’anime gentili; a l’altre è noia,
     Ch’hanno posto nel fango ogni lor cura.
Et ora il morir mio, che sì t’annoia,
     Ti farebbe allegrar, se tu sentissi
     La millesima parte di mia gioia. -
40Così parlava, e gli occhi avea al ciel fissi
     Devotamente; poi mosse in silenzio
     Quelle labbra rosate infin ch’i’ dissi:
- Silla, Mario, Neron, Gaio e Mezenzio,
     Fianchi, stomachi e febri ardenti fanno
     45Parer la morte amara più ch’assenzio. -
- Negar - disse - non posso che l’affanno
     Che va inanzi al morir non doglia forte,
     E più la tema de l’eterno danno:
Ma pur che l’alma in Dio si riconforte,
     50E ’l cor che ’n sé medesmo forse è lasso,
     Che altro ch’un sospir breve è la morte?
Io aveva già vicin l’ultimo passo,
     La carne inferma, e l’anima ancor pronta,
     Quando udi’ dir in un son tristo e basso:
55«O misero colui che’ giorni conta,
     E pargli l’un mille anni! Indarno vive,
     Ché seco in terra mai non si raffronta;
E cerca ’l mare e tutte le sue rive,
     E sempre un stil, ovunque fusse, tenne:
     60Sol di lei pensa, o di lei parla o scrive».