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310 DEL TRIONFO

Già era il mio desio presso che stanco,
     Quando mi fece una leggiadra vista
     Più vago di mirar ch’i’ ne fossi anco.
I’ vidi alquante donne ad una lista:
     Antiope ed Oritia armata e bella,
     Ippolita del figlio afflitta e trista,
E Menalippe, e ciascuna sì snella
     Che vincerle fu gloria al grande Alcide:
     E’ l’una ebbe, e Teseo l’altra sorella;
La vedova che sì secura vide
     Morto ’l figliolo, e tal vendetta feo
     Ch’uccise Ciro et or sua fama uccide,
Però che, udendo ancora il suo fin reo,
     Par che di novo a sua gran colpa moia,
     Tanto quel dì del suo nome perdeo.
Poi vidi quella che mal vide Troia,
     E fra queste una vergine latina
     Ch’in Italia a’ Troian fe’ molta noia.
Poi vidi la magnanima reina:
     Con una treccia avolta e l’altra sparsa
     Corse alla babilonica rapina;
Poi Cleopatra, e l’un’e l’altra er’ arsa
     D’indegno foco; e vidi in quella tresca
     Zenobia del suo onor assai più scarsa.
Bella era, e ne l’età fiorita e fresca;
     Quanto in più gioventute e ’n più bellezza,
     Tanto par ch’onestà sua laude accresca;
Nel cor femineo fu sì gran fermezza,
     Che col bel viso e co l’armata coma
     Fece temer chi per natura sprezza:
Io parlo de l’imperio alto di Roma,
     Che con arme assalìo; ben ch’a l’estremo
     Fusse al nostro trionfo ricca soma.
Fra’ nomi che in dir breve ascondo e premo,
     Non fia Judith, la vedovetta ardita,
     Che fe’ il folle amador del capo scemo.