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DELLA FAMA CAP II. 311

Ma Nino ond’ogni istoria umana è ordita,
     Dove lasc’io e ’l suo gran successore
     Che superbia condusse a bestial vita?
Belo dove riman, fonte d’errore
     Non per sua colpa? Dov’è Zoroastro,
     Che fu de l’arti magiche inventore?
E chi de’ nostri dogi che ’n duro astro
     Passar l’Eufrate fece il mal governo,
     A l’italiche doglie fiero impiastro?
Ov’è ’l gran Mitridate, quello eterno
     Nemico de’ Roman che sì ramingo
     Fuggì dinanzi a lor la state e ’l verno?
Molte gran cose in picciol fascio stringo:
     Ov’è un re Arturo, e tre Cesari Augusti,
     Un d’Affrica, un di Spagna, un Lottoringo?
Cingean costu’ i suoi dodici robusti;
     Poi venia solo il buon duce Goffrido
     Che fe’ l’impresa santa e’ passi giusti.
Questo, di ch’io mi sdegno e ’ndarno grido,
     Fece in Jerusalem co le sue mani
     Il mal guardato e già negletto nido.
Gite superbi, o miseri Cristiani,
     Consumando l’un l’altro, e non vi caglia
     Che ’l sepolcro di Cristo è in man de’ cani!
Raro o nessun che ’n alta fama saglia
     Vidi dopo costui, s’io non m’inganno,
     O per arte di pace o di battaglia.
Pur, come uomini eletti ultimi vanno,
     Vidi verso la fine il Saracino
     Che fece a’ nostri assai vergogna e danno;
Quel di Lurìa seguiva il Saladino,
     Poi il duca di Lancastro, che pur dianzi
     Era al regno de’ Franchi aspro vicino.
Miro, come uom che volentier s’avanzi,
     S’alcuno ivi vedessi qual egli era
     Altrove agli occhi miei veduto inanzi;