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Capitolo XXIII.


La distruzione delle ultime «Selve Ardenti».


La tragica fine del disgraziato lord aveva talmente impressionato gli scorridori di prateria, da non osare di accostarsi al cadavere, ormai tutto insanguinato.

Sotto i piedi si era formata una larga pozza e, orribile particolare, la neve si era fusa al tiepore di quel sangue che colava dalle ferite del povero lord.

— È orribile! esclamò finalmente il signor Devandel. ― Siete ben sicuro, Sandy, che sia morto?

— La sua anima vaga ormai nelle celesti praterie ― rispose il bandito. — Non vi è nulla da fare.

— Questo delitto mi pare di averlo commesso io.

— Perchè, signor Devandel? — chiese l’indian-agent.

— Se non gli avessi proposta quella stupida sfida, sarebbe ancora vivo.

— Avreste potuto ucciderlo.

— Ma non assassinarlo in un modo così barbaro.

— E poi — disse Sandy-Hook — quel povero uomo era predestinato a lasciare le sue ossa in America.

Ci avrebbero pensato gl’indiani a fargli presto o tardi la pelle e... —

Si era bruscamente interrotto, poi aveva mandato un altissimo grido.

— Che cosa avete, Sandy-Hook? — chiese il signor Devandel. — Sarebbe ancora vivo l’inglese?

— Corpo di.... non so più che cosa metterci accanto! Non avete notate tutte queste tracce? Sono di mocassini indiani, corpo del mio corpo sventrato ed arrostito! —

Quattro grida erano sfuggite agli scorridori:

— È vero! è vero! —

Infatti intorno alla pianta si scorgevano distintamente le orme