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6 Schiaparelli, N.° IX.

chiaro il movimento bizzarro e variamente inflesso dei pianeti sulla sfera celeste, e Platone stesso sentiva, che a spiegarlo ben altro occorreva, che supporre ciascun pianeta portato semplicemente in giro da una sfera ad esso speciale. Ond’egli, secondo che narrò Eudemo nella sua storia dell’astronomia1, propose agli astronomi la questione di «trovare con quali supposizioni di movimenti regolari ed ordinati si potessero rappresentare le apparenze osservate nei movimenti dei pianeti».

Questo appello fu inteso e raccolto da Eudosso di Cnido (nato intorno al 408, morto intorno al 355), il quale era stato già discepolo dello stesso Platone, ed acquistò grande fama non meno nella geometria che nell’astronomia. Egli era andato di poi a studiare in Egitto, secondo l’uso di molti savj di quell’epoca, e munito di lettere commendatizie d’Agesilao spartano per il re d’Egitto Nectanebo2, aveva ottenuto la facoltà d’iniziarsi ai segreti del sapere egiziano, nei quali gli fu assegnato a maestro Conufi, sacerdote d’Eliopoli. Ivi, se crediamo a Seneca, egli apprese a conoscere i movimenti dei pianeti, di cui portò in Grecia notizie più complete di quelle che si avessero prima3. Ciò significa, come giustamente osserva Ideler nella sua citata Memoria, che Eudosso apprese in Eliopoli i periodi delle rivoluzioni planetarie, e forse le durate, le ampiezze e le diverse fasi delle loro stazioni e retrogradazioni, come ai sacerdoti egiziani risultavano dall’osservazione immediata. Nulla dà nell’antico Egitto il minimo indizio di speculazioni geometriche profonde, quali si richiedono per una vera teoria dei moti planetarj4.

  Ma la qualità di geometra, che noi non siamo ancora autorizzati a concedere agli Egiziani, Eudosso la possedeva in alto grado, siccome consta da molte ed autorevoli testimonianze5. Si racconta che Platone, consultato da quei di Delo perchè li ajutasse nel problema loro proposto dall’oracolo, di duplicare l’altare in volume, conservandogli la forma cubica che prima aveva, abbia risposto che conosceva solo due uomini capaci di vincere questa difficoltà, cioè Eudosso da Cnido ed Elicone da Cizico6. Più autentica è la testimonianza di Proclo, autore versatissimo nella storia degli antichi matematici; il quale annovera Eudosso fra quelli, che hanno fatto progredire ogni parte della geometria7. Eudosso infatti accrebbe il numero dei teoremi generali, tra i quali appartengono a lui quei due principalissimi della geometria solida, concernenti il rapporto della piramide e del cono al prisma ed al cilindro di ugual base e di uguale altezza. Euclide, nella composizione degli


  1. Vedi l’Appendice II in fine di questa Memoria. § 1.
  2. Non è certo se si tratti del primo o del secondo dei re egiziani di questo nome. Boeckh (Ueber die vierjährige Sonnenkreise der Alten, p. 136-142) sta per il primo, e mette il viaggio di Eudosso in Egitto nel secondo o nel terzo anno della centesima olimpiade (379 o 378 avanti Cristo). Ideler propende per il secondo (Ueber Eudoxus p. 194-195), il quale regnò fra gli anni 362 e 354.
  3. Eudoxus primus ab Aegypto hos motus in Graeciam transtulit. Seneca, Quæst. Nat. VII, 3.
  4. Il solo fatto che sembra contraddire quest’asserzione è un’allusione al moto della Terra, trovata dal signor Chabus in un antico papiro egiziano, nel quale si dice ad un personaggio potente, che la Terra naviga secondo la sua volontà. Il papiro avrebbe, secondo Chabas, forse 4000 anni d’antichità; le parole sopra citate sono poste in bocca ad una persona contemporanea d’un re Neb-ka-ra, che si suppone anteriore alla costruzione delle grandi piramidi! Sarà forse prudente attendere, su tale spinosa questione, il risultamento di ulteriori dilucidazioni. Vedi Chabas, Sur un texte égyptien relatif au mouvement de la Terre, nella Zeitschrift für aegyptische Spracke und Alterthumskunde. Dicembre, 1864.
  5. Sono raccolte da Ideler, nella sua Memoria intorno ad Eudosso. V. Memorie dell’Acc. di Berlino, anno 1828, p. 203-212.
  6. Plutarco, De genio Socratis, c. 8.
  7. Procli Diadochi in primum Euclidis Elementorum librum Commentarii, ed. Friedlein (Lipsiae, Teubner, 1873), p. 67.