Pagina:Leibniz - La monadologia, Sansoni, Firenze, 1935.djvu/43

Da Wikisource.

i. — verità di ragione e di fatto 13

ligono di mille lati o dell'ente sommamente perfetto: principio col quale, come armato dello scudo di Achille, egli disprezzo non senza arroganza tutti coloro che dubitarono delle sue dimostrazioni dell'esistenza di Dio. Con tale argomento, egli avrebbe certo potuto facilmente far sì che in noi fosse anche l'idea di cose impossibili, p. es. del movimento sommamente veloce; fra le quali cose impossibili, coloro che vogliono opporsi alle sue dimostrazioni porranno anche l'ente sommamente perfetto, lo so, per parte mia, che altro è l'ente sommamente perfetto e altro il movimento sommamente veloce: ritengo però che i ragionamenti di Cartesio siano imperfetti, e che chi li voglia condurre a compimento, vi debba aggiungere molto di suo.

(Frammento del 16771, G. IV, 271-5).


Dio e le verità di ragione e di fatto. - Con queste affermazioni, Leibniz sottomette de idee chiare, e distinte al criterio oggettivo della possibilità logica, o «non contradizione». E a questo criterio sottomette anche il concetto dell’'ente sommamente perfetto, sul quale si fonda la cartesiana prova ontologica dell esistenza di Dio2. L'idea dell'ente sommamente perfetto, egli dice, potrebbe essere contradittoria, come quella della velocità massima o del numero più grande di tutti (idee contradittorie, queste, perché sarà sempre possibile concepire una velocità o un numero maggiori di una qualsiasi altra velocità o numero presi a piacere: quindi non si potrà mai giungere al massimo) Dell'ente perfettissimo, dunque, non basta aver l'idea: bisogna anche dimostrarne la possibilità, dimostrare cioè che esso non appartiene solo al mondo delle nostre rappresentazioni, ma anche al mondo delle verità eterne di ragione.

  1. Questa data mi è stata gentilmente comunicata dal prof. Ritter, direttore della Commissione leibniziana dell'Accademia della Scienze di Berlino
  2. La prova antologica, che Cartesio ha ripreso da Anselmo d'Aosta (1033-1109), afferma che l'essere sommamente perfetto deve contenere, fra le sue perfezioni, anche l'esistenza; quindi esiste. Tale prova considera quindi l'esistenza come un attributo dell'essenza dell'essere perfettissimo.