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Pagina:Leila (Fogazzaro).djvu/118

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106 CAPITOLO TERZO

Santi sfuggitole dal libro di preghiere, uscì quand' ella si mosse, trovò modo di rivolgerle, nello scender la gradinata della Chiesa, qualche parola di lode al sermone che aveva tenuto l’arciprete. Chi sa perchè, le cortesie della signorina turbarono la Fantuzzo. Parve che con una ondata di simpatia per essa le salisse in cuor anche un riflusso di quei vaghi sentimenti giovanili che l’avevano, a lor tempo, atterrita. Farsi amica della signorina, comunicare con un’anima giovane, esperta dell’amore e del mondo, riassaggiare ancora di seconda mano, dell’uno e dell’altro: ecco la tentazione di cui la siora Bettina sentì un lieve alito. Bastò perchè rientrasse in canonica con un precipizio, nella gola, di giaculatorie e di «basta basta basta!» che significavano il proposito di non avvicinare mai più quella pericolosissima persona.

«Sarebbe meglio che le parlasse» rispose don Emanuele guardando l’arciprete «ma non mi pare che sia proprio necessario.»

«No so po» fece l’arciprete. I tre monosillabi, veramente magistrali, parvero significare ch’egli non vedeva modo di giungere a un desiderato fine, se la cognata si ostinasse a non voler parlare colla signorina. In fatto un tale colloquio non era per niente nelle vedute nè dell’arciprete nè del cappellano; e la loro tattica era di preparare con arte una proposta che venisse in figura di transazione. Ma don Emanuele era corso un po’ troppo e il «no so po» dell’arciprete era stato un colpettino artistico di freno. Don Emanuele lo capì, retrocesse con un «ma!» pieno di dubbii, di rincrescimenti di mezze rinunce, di mezze esortazioni.

Siccome, poi, tacevano ambedue, la siora Bettina si sperò liberata e, avanzando la persona nell’atto di alzarsi, mise fuori un altro:

«Ben.»