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4 CAPITOLO PRIMO

nuti dalla villa dove Lelia viveva col signor Marcello Trento, detta «la Montanina» perchè, assisa sotto un cappello di tetti acuti, col dorso alla montagna, fra selvette e prati pendenti al Posina profondo, ha l’aria di una boscaiuola discesa dai dirupi della Priaforà, che riposi seduta sotto il grave carico e guardi.


Teresina, devota al signor Marcello come lo era stata per vent’anni alla sua povera moglie morta da due anni, bussò all’uscio dello studio, tremando che il padrone si sentisse male. Udito un franco «avanti!» si rincorò, entrò sorridente perchè non le si scoprissero in viso le tracce del passato sgomento.

L’uscio dello studio si apriva a sinistra del seggiolone dove il signor Marcello sedeva davanti a un tavolo ingombro di carte, nella luce dell’antica lucerna fiorentina di ottone a tre beccucci, che aveva illuminato il capo canuto di suo padre e ora illuminava il suo. Il suo portava una selvaggia criniera mista di grigio e di fulvo, irta come forse ne gittano i cranii di tempra più maschia. All’entrare di Teresina egli girò verso di lei il viso, dove i baffi e il pizzo duravano più accesi dei capelli, e, sotto la breve fronte rugosa, si aprivano gli occhi quasi bianchi, terribili nella collera, dolcissimi nella tenerezza: un duro viso, in quel momento, d’inquisitore. Ella sentì crucciandosene invano, di arrossire fino al collo.

«Come va» diss’egli «che qui è tutto bagnato?»

«Non so no» rispose la cameriera, arrossendo ancora di più.

«Come, non so no? I miei capelli, chi me li ha bagnati. Chi, dico, chi? Non capite? Cosa serve che facciate l’oca?»

La cameriera comprese che a negare ancora avrebbe fatto peggio.