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Pagina:Leila (Fogazzaro).djvu/407

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O MI POVR'OM! 395

allontanatesi da Dio ritornassero a Lui; perchè la fanciulla nella quale Marcello aveva religiosamente amata e onorata la memoria sacra del figliuolo morto, uscisse incolume da un periglioso cimento. Era il pensiero di donarsi così che le aveva mosso lagrime di tenerezza, che le spirava questa felicità. Non andrebbe a Torino, rinuncerebbe all’operazione, che non l’avrebbe certamente guarita. Raggiungerebbe invece la folle figliuola in Valsolda, s’imporrebbe a lei in memoria di Marcello, s’imporrebbe ad Alberti in memoria di sua madre. Sulle prime aveva pensato di condurre con sè in Valsolda la cugina Eufemia. Ora era decisa di mandarla a Santhià, di andar sola. Vedendomi arrivar sola, pensava, da lontano, in questo stato, ne avranno una impressione maggiore.

Si vide tutta davanti agli occhi la propria vita. Le parve tanto vuota, tanto scarsa di bene; stimò tanto dolce di poterla chiudere così. Supina, giunte le mani sul povero corpo addolorato e anche deformato, ringraziò Dio del dono di una tal fine. E sentì corrersi dentro un’onda di ristoro, sorrise, nelle tenebre, a sè stessa, sorrise anche alle immaginate figure di suo padre, di sua madre, dei nonni che l’avevano tanto amata da bambina, che la guardavano contenti di lei, del suo sacrificio pio, contenti di averla presto con sè. Accese la luce, tolse dal cassetto del tavolino da notte un libretto prezioso, un diario scritto da sua madre morta a ventidue anni, nel metter lei al mondo. Ne lesse le ultime parole:

«Benedite, o mio Dio, l’angioletto che aspetto, perchè sia sempre Vostro»

Chiuse il libriccino, mormorò, beata: «per sempre, per sempre.» Sì, la sua mamma doveva essere contenta ora, in paradiso, di lei. E la nonna, la vecchia nonna che le insegnava a pregare, che le raccontava tante belle