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NOTTE E FIAMME 439

«Ve l’hai cercata?» chiese Massimo per la dolcezza dell’attesa risposta. Ma poi non l’attese, si punì della sua gola indiscreta, domandò come donna Fedele avesse riferite le sue parole sulla rupe. Lelia chinò ancora il viso.

«Ho letto tutto» diss’ella.

«Tutte le mie lettere?»

«Sì, credo tutte.»

Ella sapeva, dunque, il giudizio acerbo ch’egli aveva fatto di lei. Il giovine ammutolì, prima. Quindi le domandò:

«E sei venuta?»

«Se non avessi letto, non sarei venuta.»

Massimo teneva ancora la piccola dolce mano. L’accarezzò, l’accarezzò in silenzio, quasi a detergere dalla dolce mano un’offesa.

«Ho letto l’ultima» disse Lelia «fra i rododendri della Priaforà. Allora ho deciso e ho fatto i miei piani.»

Sorrise, pensando alla siora Bettina. Massimo durò poca fatica a strapparle il racconto della fuga. Ella raccontò, un po’ ridendo un po’ fremendo, i maneggi dei preti di Velo e della Fantuzzo, confessò le proprie ipocrisie, fece ridere anche Massimo colla descrizione del viaggio da Arsiero a Vicenza. Non nominò mai suo padre. Raccontò anche gl’incontri fatti in ferrovia, la indiscrezione della canzonettista, la galanteria del viaggiatore di commercio, ridendo e fremendo ancora, come una piccola fiera che mostrasse i denti. Massimo fece scorrere, desiderando vederlo, l’anello della mano prigioniera, che la canzonettista aveva levato. Lelia curvò il dito, resistendo, ed egli lo lasciò. Ella si pentì, lo pregò di prenderlo. Perchè egli esitava, se lo levò, glielo porse, triste in viso e grave. Il giovine vi lesse «A Leila.» Impallidì. Ricordava che il suo povero amico Andrea gli aveva raccontato della disputa colla fidanzata per