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40 CAPITOLO SECONDO

fascicolo di Corelli portavano scritto a grandi caratteri: «Leila.»

Mentre sorseggiava il caffè, seppe dal domestico che il signor Marcello era uscito da un pezzo. Se fosse in giardino o in chiesa, se avesse preso la via di Velo o la via di Arsiero, Giovanni lo ignorava. Massimo uscì pure, per andare da don Aurelio. Stava chiedendo al custode, che gli teneva aperto il cancello, la via di Lago, quando colui salutò rispettosamente qualcuno che passava dietro le spalle di Massimo. Questi si voltò. Passava una signora, non giovane, alta e magra, col capo scoperto e un ombrellino in mano, chiuso benchè il sole ardesse già la stradicciuola sassosa. Con grande meraviglia del giovine, la signora si fermò e gli sorrise.

«Signor Alberti?» diss’ella.

La voce soave parve a Massimo quella che aveva udito, nella notte, alternarsi colla voce di don Aurelio. Salutò imbarazzato, guardando la signora come uno che si scusa di non riconoscere chi gli parla. Gli stava davanti una nobile figura di donna fra i cinquanta e i cinquantacinque anni, pallida, quasi olivastra, dall’aria sofferente, dai capelli interamente bianchi, dai grandi occhi luminosi, molto giovani ancora, spirante dignità signorile e dolcezza dai modi come dalla voce e dal parlar lento.

«Sono amica di don Aurelio» diss’ella, sorridendo. «Siamo passati di qua insieme iersera, colla speranza di vederla, ma Lei dormiva già.»

Massimo confessò che aveva veduto dalla finestra una figura nera e una figura bianca.

«Infatti» disse la signora «avevo uno scialle bianco. Lei va da don Aurelio? Ci vado anch’io.»

Massimo s’inchinò, la interrogò, più cogli occhi che colla bocca.

«Allora Lei...?»