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FUSI E FILA 41

«Vayla di Brea» rispose la signora col suo dolce sorriso. «Don Aurelio Le ha scritto qualchecosa di me? E il mio nome Le è riuscito nuovo? Affatto nuovo?»

Massimo riconobbe umilmente che gli era riuscito nuovo.

«Vede» riprese la signora, «io mi sento un poco nonna con Lei, quasi. Sua madre non era una Vittuoni? Non aveva nome Rachele? Sono stata in collegio con Sua madre a Milano, da madama Bianchi Morand. Sua madre era delle piccole, io ero delle grandi. L’avevo molto cara e mi divertivo qualche volta a fare la mamma, con lei.»

Si avviarono insieme sulla stradicciuola che, a due passi dal cancello, entra in un fresco di ombre, fra i castagni grandi della costa precipitante al burrone onde salgono i colpi misurati e sordi delle turbine di Perale.

La signora parlò subito del gran dispiacere di don Aurelio per non aver potuto alloggiare Massimo e neppure andargli incontro alla stazione. Raccontò che si era preso in casa, da due giorni, un infermo, un povero rejetto, un venditore di bibbie protestanti, che a Posina era stato malmenato a furor di popolo e cui nessuno voleva ospitare.

«Poveretto!» esclamò la signora. «È un tipo! Un tipo!» E rise di un riso breve, tosto represso perchè la pietà prevalse al senso del comico e alla voglia di sfogarlo.

«È un certo Pestagran» diss’ella, «ma qui gli hanno posto nome Carnesecca perchè nei suoi discorsi, che sono sempre lirici, nomina spesso Carnesecchi. Egli si rifà, del resto. Una volta chiamava «pesci» i suoi concittadini di Lago: pesciolini, anguille, pesce popolo, marsoni, qualchevolta gamberi. Adesso li chiama pescicani.»