Pagina:Leonardo prosatore.djvu/298

Da Wikisource.
294


altre volte ci fussi stato, io mi ricordo che tu eri mulinaro. — Allora costui, sentendosi mordere colle parole, gli confermò essere vero, che per questo contrassegnio lui si ricordava che questo tale era stato l’asino, che li portava la farina.


Un amico ad un maldicente. — Uno lasciò lo usare con uno suo amico, perchè quello ispesso li diceva male delli amici sua. Il quale, lasciato l’amico, un dì, dolendosi collo amico, e dopo il molto dolersi, lo pregò che li dicesse quale fussi la cagione che lo avesse fatto dimenticare tanto amicizia. Al quale esso rispose: — Io non voglio più usare con teco perch’io ti voglio bene, e non voglio che, dicendo tu male ad altri di me tuo amico, che altri abbia, come me, a fare trista impressione di te, dicendo tu a quegli male di me tuo amico; onde, non usando noi più insieme, parrà che noi sian fatti nimici, e ’l dire tu male di me, com’è tua usanza, non sarai tanto da essere biasimato, come se noi usassimo insieme.


Motto arguto d’un moribondo. — Sendo uno infermo in articulo di morte, esso sentì battere la porta, e domandato uno de’ sua servi chi era che batteva l’uscio, esso servo rispose esser una che si chiamava madonna Bona. Allora l'infermo, alzate le braccia, ringraziò Dio con alta voce; poi disse ai servi che lasciassero venire presto questa, acciocchè potesse vedere una donna bona innanzi che esso