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«Ancora la Povertà in figura spaventevole corra dirieto a un giovanetto, el Moro lo copra col lembo della vesta e con la verga dorata minacci tale monstro».

Ed è distinta per una ben semplice ragione: se nella prima il Moro ha «e panni e mani innanzi» (solito atteggiamento della Fortuna che, spinta da un vento favorevole, sparge i beni), non può nello stesso tempo coprire «col lembo della vesta» il giovanetto, e minacciare con la verga dorata la Povertà: altrimenti avrebbe quattro mani!

Il tesoro di Gian Galeazzo e d’Isabella fu incettato da Lodovico; dunque, questa traccia leonardesca — fu concluso — rappresenta nel giovanetto fuggente il Duca stesso che lo zio salva dalle strette della povertà: Leonardo così giustificava la condotta del Moro.

Veramente, ecco, per un ingegno tanto sottile e complesso com’era anche nelle allegorie (e lo vedremo) l’ingegno di Leonardo, bisogna confessare che l’invenzione per un caso così delicato sarebbe abbastanza grossolana.

Il Moro, rappresentato qui neppur simbolicamente, ma in persona, avrebbe di necessaria conseguenza voluto che anche il Duca fosse ritratto al naturale: e allora, perchè Leonardo non lo nomina?

Del resto, chi nella Corte ducale non avrebbe riso in cuor suo vedendo Giovan Galeazzo fuggire dinanzi alla Povertà? e quando mai n’era stato minacciato?

Povero accorgimento anche da parte del Moro una rappresentazione solo in parte simbolica di tal fatta!

Bella maniera di giustificarsi!

È molto più naturale lasciare le cose come Leonardo stesso le ha scritte: lasciare il giovanetto anonimo, e vedere in questa seconda fantasia dell’artista semplicemente un’altra glorificazione della liberalità del Moro.

Con le due tracce ora esaminate non ha poi nulla a vedere questa terza, e non so proprio come il Solmi abbia potuto fare di tutte tre una sola:

«Erba colle radice insù. Per uno che fussi sul finire la roba o la grazia».

Che c’entra? Affatto! Leonardo notava tutto quel che