Pagina:Leonardo prosatore.djvu/68

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trata d’una gran caverna, dinanzi alla quale, restando alquanto stupefatto e ignorante di tal cosa, piegato le mie rene in arco, e ferma la stanca mano sopra il ginocchio, colla destra mi feci tenebra alle abbassate e chiuse ciglia. E spesso piegandomi in qua e là per vedere dentro vi discernessi alcuna cosa, questo vietatomi per la grande oscurità che là entro era, e stato alquanto, subito si destarono in me due cose: paura e desiderio; paura per la minacciosa oscura spelonca, desiderio per vedere se là entro fussi alcuna miracolosa cosa.


Contro il principio d’autorità
e contro gli Umanisti.


So bene che, per non essere io litterato, che alcuno presuntuoso gli parrà ragionevolmente potermi biasimare coll’allegare io essere omo sanza lettere. Gente stolta! Non sanno questi tali ch’io potrei, sì come Mario rispose contro a’ patrizi romani, io sì rispondere, dicendo: quelli che dall’altrui fatiche se medesimi fanno ornati, le mie a me medesimo non vogliano concedere. Diranno che, per non avere io lettere, non potere ben dire quello di che voglio trattare.

Or non sanno questi che le mie cose son più da esser tratte dalla sperienzia, che d’altrui parola, la quale fu maestra di chi bene scrisse, e così per maestra la piglio, e quella in tutti i casi allegherò.