Pagina:Leonardo prosatore.djvu/89

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mento; ma alle inriparabile inondazione de’ gonfiati e superbi fiumi non vale alcuno umano riparo d’umano consiglio, anzi a compagnia colle turbolente e temultevo [li onde] rodendo e minando l’alte ripe, e intorbidandosi delle cultivate possessioni, ruinandovi case, disvellendo l’alte piante, quelle porta per preda al mare, suo riposo, portando con seco omini, piante, bestie, ville e possessioni, ruinando ogni argine e altri ripari. Porta con seco le cose leggere, e le gravi ruina e guasta, facendo di piccole fessure gran diripamenti, riempiendo le basse valle di diluvi, e di noiose e rigide acque precipitando.

Quant’è da fuggire tal vicino! quante città, quante terre, castella, e ville, e case ha consumate! quante fatiche de’ tribulati cultori sono state vane e sanza frutto! O quante famiglie à disfatte e sommerse! Che dirò io delli armenti annegati e persi?

Il vento e il renaio d’Arno.

Come1 i retrosi de’ venti, a certe bocche di valli, percotino sopra delle acque, e quelle concavino con gran cavamento, e portino l’acqua in aria, in forma colunnale, in color di nugola; e il medesimo vid’io già fare sopra uno renaio d’Arno, nel quale fu concavato la rena più d’una statura d’uomo, e di quella fu remossa la ghiara e gittata in disparte per lungo spazio, e parea per l’aria in forma di grandissimo

  1. Sottintende: dirò: