Pagina:Leopardi, Giacomo – Canti, 1938 – BEIC 1857225.djvu/269

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nota 263


I criteri ortografici a cui si era ridotto da ultimo il Leopardi, nel suo desiderio d’essere semplice e di non sovraccaricare la pagina, erano cosí sottilmente ragionati, e nello stesso tempo cosí vicini ai nostri, che era naturale cercare di trasporre, se mai, quei segni in altri piú familiari ai lettori di questa raccolta, ma di non aggiungerne dei nuovi senza necessitá. Secondo le regole usate generalmente negli «Scrittori d’Italia», in quest’edizione sono stati distinti gli accenti gravi e gli acuti in fine di parola; e lo stesso si è fatto per i pochi altri accenti tonici segnati dal Leopardi, per diversificare il senso degli omonimi o per chiarire l’accentazione d’un verso: nel primo caso l’edizione Starita ha sempre l’accento grave (già, perchè, tradì, combatterà: I, 27, 28, 31, 38, ecc.), nel secondo sempre l’acuto (vóti: XI, 54, ecc.; lúgubri: XXVI, 5 e XXX, 35; sígari: XXXII, 14). È stato trasformato in circonflesso l’accento grave che il Leopardi pone sulle forme verbali contratte, che possono confondersi con altre forme verbali o con sostantivi (placàr, ornàr: VI, iii, ecc.; còr: XXIV, 14 e XXVI, 88). Sono stati introdotti dei segni in piú solo in pochi casi in cui l’uso nostro si è definitivamente allontanato da quello del Leopardi: sostantivo (IV, 92, ecc.) è stato perciò scritto diversamente da di’ verbo (II, 182 e 183), e sostantivo (XV, 95) diversamente da fe’ verbo (XXXI, 8); inoltre, è stato accentato il pronome . Il Leopardi, che prima abbondava nelle maiuscole e negli accenti di distinzione (nell’edizione Nobili in VIII, 108 stampò addirittura ónde, perché il sostantivo non andasse confuso con l’avverbio, e quest’ortografia fu ancora riprodotta nell’edizione Piatti del 1831), s’era infine persuaso che ogni segno doveva essere strettamente giustificato, e servire davvero a eliminar degli equivoci: sicché nell’edizione Starita lasciò la maiuscola a Sol e Soli, ma gli parve inutile per il sole, proprio guidato da un desiderio di chiarezza, e non certo dalle ragioni vanamente inseguite dal Moroncini1. L’origine delle altre poche maiuscole poste dal Leopardi a nomi comuni è evidente di per sé, e tutte sono state conservate; mentre ai capoversi, seguendo l’abitudine della collezione, è stata messa la minuscola. Il modo di abbreviare le indicazioni bibliografiche, nelle note, è stato sostanzialmente rispettato.

Ci si scosta, com’è ovvio, dalla «Starita corretta» anche per eliminare gli errori di stampa sfuggiti al Leopardi nelle sue accu-



  1. Moroncini, p. lxviii.