Pagina:Leopardi, Giacomo – Operette morali, 1928 – BEIC 1857808.djvu/273

Da Wikisource.

appendice 267


di ogni sorta di eccitamenti, nondimeno i giovani sentono il bisogno di distinguersi, e non trovando altra strada aperta come una volta, consumano le forze della loro giovanezza e studiano tutte le arti, e gettano la salute del corpo e si abbreviano la vita, non tanto per l’amor del piacere, quanto per esser notati e invidiati, e vantarsi di vittorie vergognose, che tuttavia il mondo ora applaude, non restando a un giovane altra via di far valere il suo corpo e procacciarsene lode, che questa. Giacché ora pochissimo anche all’animo; ma tuttavia all’animo resta qualche parte di gloria; ma al corpo, che è quella parte che fa il piú, e nella quale consiste per natura dalle cose il valore della massima parte degli uomini, non resta altra strada.

Per queste osservazioni, si vedano anche i Detti di F. Ottonieri.

E pochi giorni dopo (22 giugno, Z. 130-31 (1, 238):

A quello che ho detto a p. 128 aggiungi:

Il giovane che entra nel mondo vuol diventarci qualche cosa. Questo è un desiderio comune e certo di tutti. Ma oggidí il giovane privato non ha altra strada a conseguirlo, fuorché quella che ho detto, o l’altra della letteratura che rovina parimenti il corpo. Cosí la gloria d’oggidi è posta negli esercizi che nuocciono alla salute, in luogo che una volta era posta nei contrari. E cosí per conseguenza s’infiacchiscono sempre piú le generazioni degli uomini; e questo effetto della mancanza d’illusioni esistenti nel mondo, come una volta, divien cagione di questa stessa mancanza, a motivo del poco vigore; secondo quello che ho detto negli altri pensieri, della necessitá del vigor del corpo alle grandi illusioni dell’animo. Sono poi troppo noti gli spaventosi effetti della ordinaria vita d’oggidi, che a poco a poco ridurranno il mondo a uno spedale. Ma che rimedio ci trovereste? Che altra occupazione resta oggi a un giovane privato, o che altra speranza? E credete che un giovane si possa contentare di una vita inattiva, senza nessuna vista e nessuna aspettativa, fuorché di un’eterna monotonia e di una noia immutabile? Anticamente la vanitá era considerata come propria delle donne, perché anche nelle donne c’è lo stesso desiderio di distinguersi, e ordinariamente non ne hanno avuto altro mezzo che quello della bellezza. Quindi il loro cultus sui, il quale diceva Celso che adimi foeminis non potest. Ora resta intorno alla vanitá la stessa opinione, che sia propria delle donne; ma a