Pagina:Leopardi, Giacomo – Operette morali, 1928 – BEIC 1857808.djvu/274

Da Wikisource.
268 operette morali


torto, perché è propria degli uomini quasi egualmente, essendo anche gli uomini ridotti alla condizione appresso a poco delle femmine, rispetto alla maniera di figurare nel mondo, e l’uomo vecchio, per la massima parte, è divenuto inutile e spregevole e senza vita né piaceri, né speranze, come la donna comunemente soleva e suol divenire, che, dopo aver fatto molto parlar di sé, sopravvive alla sua fama invecchiando.

Per quanto si riferisce alla capacitá di giudicar di cose letterarie, il 20 agosto 1820, Z. p. 227 (I, 325):

Come le persone di poca immaginazione e sentimento non sono atte a giudicare di poesia o scritture di tal genere, e leggendole e sapendo che sono famose, non capiscono il perché a motivo che non si sentono trasportate e non s’immedesimano in verun modo collo scrittore, e questo quando anche siano di buon gusto e giudizio; cosí vi sono molte ore, giorni, mesi, stagioni, anni in cui le stesse persone di entusiasmo ecc., non sono atte a sentire e ad esser trasportate, e però a giudicare rettamente di tali scritture. Ed avverrá spesso per questa ragione che un uomo, per altro capacissimo giudice di bella letteratura e d’arti liberali, concepisca diversissimo giudizio di due opere egualmente pregevoli. Io l’ho provato spesse volte. Mettendomi a leggere coll’animo disposto, trovava tutto gustoso, ogni bellezza mi risaltava all’occhio e mi riempieva di entusiasmo.... Altre volte mi poneva a leggere coll’animo freddissimo; e le piú belle, piú tenere, piú profonde cose non erano capaci di commuovermi ecc....

Questa considerazione deve servire: 1. a spiegare la diversitá dei giudizi in persone egualmente capaci, diversitá che s’attribuisce sempre a tutt’altro; — 2. a non fidarsi troppo dei giudizi anche dei piú competenti e di se stesso, ed introdurre un pirronismo necessario anche in questa parte. Il pubblico ed il tempo non vanno soggetti, nei loro giudizi, a questo inconveniente.

Ancora: 5 ottobre 1820, Z. 263 (I, 352):

Una cosa stimabile non può essere apprezzata degnamente se non da quelli che ne conoscono il valore. Perciò la raritá non porta sempre con sé la stima della cosa, anzi spessissimo l’impedisce. Un uomo di grande ingegno fra gl’ignoranti o è disprezzato o apprezzato senza ammirazione, senza entusiasmo,