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294 operette morali

fa per sé; chi l’amore, per altrui; chi si vendica giova a sé, chi benefica giova altrui; né alcuno è mai tanto infiammato per giovare altrui quanto a sé.

Vedi il 17 Avvertimento di Guicciardini intorno a quel mio pensiero che nessuno si vuol guadagnare la benevolenza di uno, a costo di tirarsi addosso l’odio di un altro (3 ottobre 1821.)

E ci ritorna, riportando le sue stesse parole il 22 ottobre 1820, Z. 293-4 (I, 371-72):

La cagione di questo è che l’odio è passione, la gratitudine ragione e dovere, eccetto il caso che il benefizio produca l’amore passione, giacché questa non si può dubitare che spesso non sia piú efficace ed attiva dell’odio e di tutte le altre. Ma la semplice gratitudine è tutta relativa ad altrui, laddove l’amore passione, benché sembri, non è tale, ma è fondata sommamente nell’amor proprio, giacché si ama quell’oggetto come cosa che c’interessa, ci piace; e la nostra persona entra in questo affetto per grandissima parte ecc.

Vedi Della natura degli uomini e dette cose in Studi e frammenti filosofici.

17 giugno 1822, Z. 2481 (IV, 266):

N. N. diceva che gli ossequi ecc. e i servigi interessati rade volte conseguiscono l’intento loro, perché gli uomini sono facili a ricevere e difficili a rendere (tutti ricevono volentieri e rendono mal volentieri e poco). Ma eccettuava da questo numero quelli che i giovani prestano talvolta alle vecchie ricche o potenti. E soggiungeva che non v’ha lusinghe, ossequi o servigi meglio collocati di questi, né che piú facilmente e piú spesso ottengano il loro fine.

22 agosto 1822, Z. 2611 (IV, 234):

Nessuna cosa è vergognosa per l’uomo di spirito, né capace di farlo vergognare e provare il dispiacevole sentimento di questa passione, se non solamente il vergognarsi e l’arrossire.

E ancora: 20 luglio 1823, Z. 3061 (V, 162):

Niuna cosa nella societá è giudicata né infatti riesce piú vergognosa del vergognarsi.