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296 operette morali


Roma, 13 decembre 1822, Z. 2653 (IV, 355):

Il vero certamente non è bello; ma pur anch’esso appaga o, se non altro affètta in qualche modo l’anima, ed esiste senza dubbio il piacere della veritá e della conoscenza del vero, arrivando al quale, l’uomo pur si diletta e compiace, ancorché brutto e misero e terribile sia questo tal vero. Ma la peggior cosa del mondo e la maggiore infelicitá dell’uomo si è trovarsi privo del bello e del vero, trattare, convivere con ciò che non è né bello né vero. Tale si è la sorte di chi vive nelle cittá grandi, dove tutto è falso; e questo falso non è bello, anzi bruttissimo.

20 aprile 1824, Z. 4075 (VI, 453):

Quelli che non hanno bisogni sono odinariamente piú bisognosi di coloro che ne hanno. Uno de’ grandissimi e principalissimi bisogni dell’uomo è quello di occupare la vita. Questo è altrettanto reale quanto qualunque di quelli a’ quali occupandola si provvede; anzi è piú reale e maggiore eziandio assai, perché il soddisfare a questo bisogno è l’unico o il principal mezzo di far la vita meno infelice che sia possibile, laddove il soddisfare a qualsivoglia di quegli altri per sé non è che un mezzo di mantenere la vita, la quale per se stessa nulla importa. Importa sibbene la felicitá; o, posta la vita, il menarla meno infelicemente che si possa. Ora, al detto massimo bisogno, che è continuo ed inseparabile dalla vita umana, quelli che non hanno bisogni, o che, per dir meglio, non sono necessitati di provvedere essi medesimi ai bisogni che hanno, gli suppliscono molto piú difficilmente e piú di rado, e per lo piú per molto minore spazio della loro vita, e in generale molto piú incompletamente di quelli che hanno a provvedere da sé a’ propri bisogni naturali e della vita.

27 gennaio 1821, Z. 4023 (VI, 398):

Diceva il tale che da giovanetto, quando da principio entrò nel mondo, aveva proposto di non mai adulare; ma che presto se n’era rimosso, perché essendo stato piú tempo senza lodar mai nessuna persona e nessuna cosa, e vedendo che non troverebbe nulla a lodare, se voleva durare nel suo proposito, temette disimparare per difetto d’esercizio quella parte della rettorica che tratta dell’encomiastica, la qual cosa, come fresco ch’egli era allora di studi, gli era a cuore che non succedesse, premendogli di conservarsi coll’esercizio le cose che aveva recentemente imparate.