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308 operette morali


DIALOGO DI TIMANDRO E DI ELEANDRO

Z. p. 87 (avanti il gennaio 1820) I, 197.

Quando l’uomo veramente sventurato si accorge e sente profondamente l’impossibilitá d’esser felice, e la somma e certa infelicitá dell’uomo, comincia dal divenire indifferente intorno a se stesso, come persona che non può sperar nulla né perdere e soffrire piú di quello ch’ella giá preveda e sappia. Ma se la sventura arriva al colmo, l’indifferenza non basta: egli perde quasi affatto l’amor di sé, ch’era giá da questa indifferenza cosí violato; o piuttosto lo rivolge in un modo tutto contrario al consueto degli uomini: egli passa ad odiare la vita, l’esistenza e se stesso, egli si abborre come un nemico: e allora è quando l’aspetto di nuove sventure, o l’idea e l’atto del suicidio gli danno una terribile e quasi barbara allegrezza, massimamente se egli pervenga ad uccidersi, essendone impedito da altrui; allora è il tempo di quel maligno, amaro e ironico sorriso, simile a quello della vendetta eseguita da un uomo crudele, dopo forte, lungo ed irritato desiderio: il qual sorriso è l’ultima espressione della estrema disperazione e della somma infelicitá.

Vedi Stael, Corinne, 1. 17, ch. 4.

E si vedano tutti gli appunti per le Memorie della vita, presi in quegli anni massimamente. Quello del'11 ottobre 1820, Z. 271 sgg. (I, 358) giá riferito a pag. 248 è specialmente da notare:

21 marzo 1821, Z. 830 (II, 209):

Non solamente è ridicolo che si pretenda la perfettibilitá dell’uomo in quanto alla mente ed a quello che si ha riguardo, come ho detto in altro pensiero, ma anche in quanto ai comodi corporali. Paiono oggi cosí necessari quelli che sono in uso che si crede quasi impossibile la vita umana senza di questi, o certo molto piú misera; e si stimano i ritrovamenti di tali comoditá tanti passi verso la perfezione e la felicitá della nostra specie; massime di certe comoditá che, sebbene lontanissime dalla natura, contuttociò si stimano essenziali ed indispensabili all’uomo. Ora io non domanderò a costoro come abbian fatto gli uomini a viver tanto tempo privi di cose indispensabili; come facciano oggi tanti popoli di selvaggi, parecchi ancora dei nostrali e sotto ai nostri